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* il gioco del nonno
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Gipi'
Dio minore
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MessaggioInviato: 15 Feb 2006 00:11    Oggetto: Rispondi citando

Bellissima idea Mad, provo a metter giu' il mio contributo.

Ho avuto la fortuna di conoscere tutti e quattro i miei nonni e ben tre bisnonni, io ricordo uno solo dei bisnonni, ricordi molto vaghi naturalmente, ma e' dei nonni che vi voglio parlare

I miei nonni materni, Gugliemo (nonno Memo) e Margherita (nonna Rita) tutti e due classe 1915, nati a Monzambano in provincia di Mantova ad un passo dal Lago di Garda. Hanno sempre lavorato nel settore alimentare con un intermezzo di allevatori negli anni '70. La nonna, durante la seconda guerra mondiale, partigiana, aiutava i suoi compagni, andando a "servizio" dai nazisti che era alloggiati nel castello di Monzambano, ed era, tra l'altro, l'unico modo che aveva per portare a casa da mangiare a mia mamma, che all'epoca aveva 6 anni e a mio zio un po' piu' giovane (mio nonno era in Russia). Ricordo che mi raccontava che per aiutare i partigiani, conoscendo il castello, visto che da bambina ci andava a giocare, e sapendo quando i nazisti si riunivano, attraversando dei cunicoli "segreti" riusciva a ad avvicinarsi alle stanze delle riunioni e ad ascoltare quello che dicevano. Avendo, per il tempo una discreta cultura, cercava di trascrivere quello che capiva (parlavano tedesco) e poi riferiva ai gruppi partigiani del posto.
Il fatto e', che questo metro e quaranta di donna e' cosi' ancora adesso. Ho l'immensa fortuna di averla ancora qui, quest'anno compie 91 anni, sta benino ed ha ancora energia da vendere, abita con altre due mie zie, sorelle di mia madre, ma e' lei che accudisce loro. Wink

Mio nonno, un personaggio con una forza e una determinazione che si puo' trovare solo nelle persone che hano lottato per la sopravvivenza, in quel periodo era militare in Russia a patire fame e freddo ed e' uno di quelli che e' riuscito a tornare con l'ultimo treno. Mi racconta la nonna, che e' stata una fortuna riuscire ad avere l'informazione per riuscire a salire su quell'ultimo treno. Gli altri non sono piu' tornati. Putroppo appena rientrato in Italia con non so quali peripezie, (non ne ha mai parlato volentieri), e' stato fatto prigioniero dai tedeschi e trasportato in un campo di prigionia in Germania. Anche li, si e' dato da fare riuscendo a fuggire calandosi nelle latrine di notte e scavando un tunnel nella cacca, che data la temperatura bassissima, era resa solida dal gelo, lo so che fa un po' schifo, ma questa e' verita'. E' tornato a casa dalla Germania, facendosi tutta la strada a piedi. Fa pensare vero?

Di questi nonni conservo dei ricordi indelebili; ho passato moltissime estati da loro aiutandoli nel loro lavoro. Prima nel panificio che avevano in provincia di Verona, poi in campagna, ad allevare vitelli e volatili vari, e piu' recentemente, fino alla fine degli anni '70, nel piccolo supermercato che erano riusciti a metter su. Il nonno se ne e' andato nei primi anni '90.

Ma per fortuna che c'e' la nonna e vi garantisco che mi sento fortunato. Non e da tutti a 47 anni a prendere in mano il telefono e sentire la nonna che ti sprona e dispensa ancora voglia divivere, e' una cosa speciale.

La prossima volta, qualcosa sugli altri due.
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danielegr
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MessaggioInviato: 15 Feb 2006 19:39    Oggetto: Rispondi citando

Va bene, l'avete voluto voi, non venitevi poi a lamentare da me. (occhio però che anche se caricato a sale il fucile fa male).
Oggi siamo tutti abituati, se vogliamo scrivere qualcosa, a prendere una qualsiasi biro, scrivere il nostro appunto e poi, di solito, dimenticarci di restituirla... Non era così subito dopo la guerra: carta penna e CALAMAIO erano indispensabili. Alle scuole elementari ho un vago ricordo del bidello che girava per i banchi con uno strano recipiente sulla spalla, recipiente dal quale usciva un lungo becco che serviva per riempire il calamaio che era infilato in quel buco che esisteva nei banchi di una volta. Era un inchiostro di pessima qualità (e ringraziare il cielo che c'era quello) pieno di scorie che trascinate dal pennino lasciavo delle macchie orrende sul foglio. Il maestro (allora erano quasi tutti maschi: le maestre erano una minoranza) dava a noi, poveri bimbetti innocenti, la colpa di quelle macchie. Invece noi poveretti non avevamo nessuna colpa: è vero che spesso si faceva a gara per vedere che faceva la macchia più bella, però lo facevamo ingenuamente, senza malizia ...
I più raffinati si portavano da casa una boccetta di inchiostro stilografico. Il problema era però che queste boccette non riuscivamo sempre a chiuderle perfettamente, e quindi nelle cartelle si rovesciavano e imbrattavano libri e quaderni. Le penne stilografiche erano vietatissime, con la scusa che non si sarebbe potuto fare con queste il ?chiaroscuro? (cioè quella manovra per la quale quando si scriveva dall'alto verso il basso si doveva calcare di più, e la linea diveniva più grossa). Era particolarmente raccomandato un pennino che aveva vagamente la forma della Tour Eiffel, piuttosto lungo e morbido, che quindi si prestava particolarmente alla manovra che ho accennato sopra. Il problema era che una delle due punte del pennino, nello scrivere dal basso verso l'alto, a volte si impuntava, bucava il foglio, schizzava inchiostro tutto intorno con particolare preferenza per il colletto bianco del compagno del banco davanti. E meno mane che allora si usava il grembiule nero.
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madvero
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MessaggioInviato: 15 Feb 2006 21:58    Oggetto: Rispondi citando

Citazione:
riempire il calamaio che era infilato in quel buco che esisteva nei banchi di una volta

ecco cos'era quel buco che c'era nei banchi quando andavo alle elementari e alle medie !!!
e io che credevo che fossero semplicemente banchi sfasciati !!!
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danielegr
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MessaggioInviato: 16 Feb 2006 13:54    Oggetto: Rispondi citando

Non mi ricordo quando è cessato l'ostracismo alle penne stilografiche, certamente era cessato quando sono andato all'Istituto Tecnico, cioè nell'autunno del 1949. Probabilmente già era cessato almeno nell'ultimo anno delle medie. Ovviamente le penne a sfera, che peraltro erano ancora poco diffuse e del resto poco affidabili (quante volte anche negli anni successivi hanno sparso intorno l'inchiostro e rovinato irrimediabilmente i vestiti) erano considerate strumenti del demonio e quindi proibitissime.
Le penne stilografiche presentavano un indubbio vantaggio, soprattutto durante i compiti in classe: l'uso normale era far finta che la propria penna fosse scarica e quindi chiedere il permesso di farsi dare qualche goccia d'inchiostro da un compagno (ovviamente si sceglieva uno dei più bravi, non certo l'ultimo della classe). La manovra era piuttosto complicata: mentre quello con la penna scarica aveva svuotato la pompetta e lentamente la riempiva, il 'donatore' faceva la manovra inversa, spremendo due o tre gocce d'inchiostro sul dorso del pennino dell'altro. Ci voleva sincronismo e, naturalmente, era necessario parlare durante la manovra per concordare l'operazione. Intanto ci scappava pure qualche informazione sulla soluzione del problema...
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Emmett Brown
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MessaggioInviato: 19 Feb 2006 23:25    Oggetto: Rispondi citando

Vero, scusa, ma tu, che sei una grossa bambina di ventisette anni, da piccola giocavi con le biglie di plastica con le foto dei ciclisti dentro? Certo le avrai avute da qualcuno della mia età (quarantotto), o le avrai trovate in una vecchia scatola in soffitta... dimmi un pò, e dicci anche tu qualcosa dei racconti del passato a te tramandati...

Io ho un'età strana, ho io stesso dei ricordi 'da nonno' se mi racconto alla maggior parte di voi, e mi sono sentito invecchiare 'a tradimento' molto presto, nel senso che ho vissuto la mia giovinezza proprio nel periodo in cui ha cominciato a essere evidente l' accelerazione esponenziale dei fatti del mondo... Dai quindici anni in poi, voltandomi indietro ogni cinque anni circa vedevo quasi un'altra generazione, un altro mondo, e ormai una sorta di assuefazione a questo continuo straniamento mi fa sentire come senza età...

Mi sento nonno io stesso, pur non essendolo ancora, in quanto ho ricordi non tanto di cose remote, quanto di cose diverse dalle attuali, e ancor più perchè ricordo l'avvenimento di certi cambiamenti.

La mia mamma ha lavato a mano tutti i miei pannolini; il mio papà non si faceva mancare nulla delle innovazioni tecniche disponibili, in casa c'era un moderato benessere da boom economico ma le prime rudimentali lavatrici domestiche sono arrivate proprio quando avevo già imparato a servirmi del bagno.

Ho fatto in tempo a frequentare (sotto casa) le ultime elementari della Storia cui bisognasse presentarsi col grembiule nero, il colletto rigido bianco e il fioccone azzurro; ricordo che in quinta la maestra mi diede un 4 in un compito in classe di matematica che era perfetto, da 9 o 10, ma le era sembrato scritto a matita, cosa imperdonabile poichè bisognava usare la biro o la stilografica blu. In realtà io avevo fatto tutto con una delle prime nuove biro 'bic nero di china punta fine' (chi se le ricorda?) col corpo giallo, il cappuccio nero e un tratto di scrittura molto fine e non nerissimo, come un grigio scuro, che poteva sembrare una matita dura e appuntita... Non ci fu nulla da fare; anche dopo la prova della gomma la vecchia maestra non ne volle sapere di ritornare sulla sua decisione, disse che le dispiaceva per essersi sbagliata ma che ?Il voto è dato, non lo posso cambiare? (recuperai, comunque).

Ho fatto in tempo a frequentare l'ultima classe maschile della scuola media della Storia (sotto casa, all'altro angolo)... Quando io ero in seconda, diventavano miste per la prima volta le prime; poi ero in terza e naturalmente erano miste le seconde. Ho così passato la prima adolescenza senza il conforto di una compagna di banco; in compenso avevo un sacco di amiche e frequentavo l'oratorio femminile di nascosto da Don Bruno, una specie di Ratzinger degli anni sessanta.

Sono diventato maggiorenne senza palpitazioni o attese impazienti; mi ci sono ritrovato in automatico da un giorno all?altro. Quando la maggiore età in Italia è passata da ventuno a diciotto anni, io ne avevo circa diciannove. Manco 'sta soddisfazione. E niente festa.

Ho visto apparire i primi televisori a colori: nel negozio all'angolo ce n'era uno esposto, costava come un'automobile e la gente faceva capannello davanti alla vetrina per vederlo acceso al mattino, quando la Rai (che allora al mattino mandava in onda solo il monoscopio rotondo in bianco e nero col fischio audio!!) trasmetteva dei filmati sempre uguali di prova e dimostrazione, con scene di parchi fioriti, o di signore che si mostravano tagli di stoffa in un negozio pieno di stoffe colorate, con splendide musiche sinfoniche a commento.

Ho fatto in tempo a passare le prime settimane di servizio militare allorquando ancora bisognava andare in libera uscita in impeccabile divisa; tale obbligo è venuto meno poco dopo l'inizio del mio servizio di leva e così ho portato in caserma un pò di 'abiti borghesi' (già, il servizio di leva, ecco un'altra cosa di cui, con i giovani di adesso, se ne parli sei un vecchio). Ho fatto in tempo a percepire un soldo (la paga giornaliera, traduco per gli under 40) di sole 500 lire al giorno, mentre quelli che entravano in servizio poco prima del mio congedo ne prendevano 1000 e poi addirittura 2000.


Come dite? Che ho rotto, che sono fuori tema di un paio di generazioni e che devo parlare del nonno e non di me?

Bene, allora ecco un istruttivo aneddoto sul mio nonno materno, Zino (Ignazio).

A Milano c'è la via Ragazzi del '99. Sapete chi erano? Erano quelli nati nel 1899, come mio nonno Zino, e che erano stati mandati al fronte da ragazzi, verso la fine della prima guerra mondiale, data la sopraggiunta scarsità di carne da macello.
Nel 1917 il mio nonno aveva diciotto anni? Un nonno di mia moglie, classe 1903, ne aveva quattordici; anche lui fu mandato in gita al fronte di guerra in quel periodo. Tornarono entrambi vivi, e qualche anno dopo a mio nonno fu proposta non so quale medaglia onorifica. Purtroppo, però, l?ottenimento di tale medaglia dal ministero era subordinato a un pagamento, sì, avete capito bene, e immagino cosa deve aver detto mio nonno circa il posto dove potevano riporla; inoltre lui, fratello più giovane di altri, era in parte a loro carico e ?comprarsi? la medaglia-ricordo non sembrava la più oculata delle spese possibili.
In seguito, molto in seguito, ai reduci del ?99 fu corrisposta una modestissima pensione, che avrebbe fatto comodo; tuttavia il nonno Zino non poté giovarsene in quanto ?a suo tempo- non aveva comprato la medaglia, la qual cosa fu interpretata dai regolamenti del ministero come un definitivo inappellabile rifiuto di ogni ricompensa di guerra, pensione compresa.
Il nonno Zino visse relativamente a lungo, considerato quanto faticò in vita e quanto fumava: morì nel 1973, all?età di settantaquattro anni.
Qualche anno dopo, verso il ?76 ? ?77, per iniziativa del Presidente della Repubblica o non so di chi esattamente, tutti indistintamente i ?Ragazzi del ?99? vennero insigniti del titolo di Cavaliere di Vittorio Veneto. La relativa insegna, sotto forma di medaglietta con coccarda tricolore, venne appuntata da mia nonna sulla sua foto incorniciata sul mobile del soggiorno; adesso che anche la nonna non c?è più (di lei vi parlo un?altra volta) quella foto è in casa di un mio zio.

Riassumendo: lo Stato ha mandato un ragazzino alla guerra; lui è sopravvissuto alla guerra ma non al tempo di consegna della relativa onoreficenza. Complimenti a entrambi.
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rebelia
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MessaggioInviato: 20 Feb 2006 00:20    Oggetto: Rispondi citando

il nonno materno - nonno rico (federico) - ha avuto un ictus quando io ero appena nata e questo ha condizionato il resto della sua vita e di quella della nonna; e' morto a 77 anni (io ne avevo 11) dopo anni di sofferenze che lo hanno completamente immobilizzato a letto; la nonna materna, nonna romana, me la ricordo bene, le piaceva cantare e ballare, ma la dura vita l'ha provata molto; e' morta che io avevo 19 anni e il mio ricordo di lei e' quello di una persona sempre preoccupata e stanca

la nonna veneranda e' morta giovanissima: aveva 52 anni e io 10 mesi; e' morta in uno stupido incidente stradale durante un matrimonio, l'auto si e' cappottata e lei ci e' rimasta; il mio ricordo e' quello della persona piu' buona del mondo, ne ho sentito e ne sento parlare continuamente e malgrado non l'abbia mai "conosciuta" (anche se i primi mesi di vita mi ha tenuta lei perche' mia mamma ha avuto gravi problemi di salute), per me e' sempre stata una presenza viva, grazie anche al fatto che tutte le persone (padre e zie in primo luogo) che l'hanno conosciuta sono brave a raccontare; di lei mi rimane un bicchiere in vetro su cui ha fatto incidere il mio nome e cosi' a mia cugina di poco piu' grande di me; la terza nipote si chiama veneranda in suo ricordo (e' nata pochissimi mesi dopo la sua morte) e nessuno degli altri nipoti - e siamo tanti! - ha potuto conoscerla ne' lei conoscere loro; uno dei racconti e' di lei che leggeva la puntata di un romanzo del grand'hotel al paese riunito nella stalla che lo acquistava assieme: le soap dell'epoca Wink

il nonno elio... ve lo presento Mr. Green



e' morto nel 2000 a 90 anni e di lui ho tantissimi ricordi, era un vero patriarca di quelli "di una volta"; sono sempre stata molto legata a lui e se devo scegliere un ricordo solo... mmm... io vivo tra i monti e vengo da una famiglia di montanari che di questo ha sempre campato (fino alla generazione di mio nonno, almeno); quando - soprattutto qualche anno fa - andavo in montagna (e ci andavo spessissimo!!), mi piaceva tornare e raccontargli "sono stata qua, sono stata la'" e lui mi diceva "quel colle si chiama col del re e li' dietro andavo a far legna l'anno in cui e' nata tua zia" oppure "due coste piu' in la' il tal tizio s'e' fatto male durante il peggior temporale che io abbia mai visto" o ancora "in quell'anfratto ho trovato le migliori 'stanghe par la musa' che abbia mai lavorato" (ndr: la "musa" con la esse di sole e' una grande slitta usata per portare a valle legname o altro materiale e le "stanghe" o i "musai" sono i due pezzi di legno che fanno da sci alla slitta stessa e che scivolano sui prati o sui sentieri di sasso: da piccoli mio padre la usava per portar giu' dalla montagna me e i miei cugini: uno dei migliori ricordi di bambina, impagabile!): conosceva ogni anfratto della vallata come le sue tasche e io gli parlavo delle mie escursioni apposta per starlo ad ascoltare! nella foto il nonno sta facendo il piolo di una sedia e si aiuta con una specie di morsetto: sotto (non si vede) preme con i piedi su un supporto collegato alla parte sopra per tener fermo il pezzo mentre lo lavora

uno degli ultimi ricordi l'ho di quando ormai viveva con i miei: quando nessuno lo stava a guardare, andava a dondolare mia figlia sull'altalena (lei aveva 3-4 anni): credo non avesse mai dondolato nessuno prima in vita sua! devo avere da qualche parte uno spezzone di film dove sono riuscita a riprendere la scena Smile (e il fastidio quando se n'e' accorto Mr. Green )

altri ricordi? una marea! ad esempio quando bevevo la panna che faceva scremare su grandi catini smaltati di bianco (aveva le mucche) o di quando arrivai da lui attraverso i boschi: mi ero fermata a raccoglier funghi per strada, lui ha aperto la borsa, li ha guardati e li ha buttati di sotto nella fossa dell'umido (il composter dell'epoca Mr. Green ): non ne avevo azzeccato uno che fosse uno ROTFL

un'altra volta invece mi diede delle uova da portare a casa: io le misi in una borsa, le buttai letteralmente in spalla e feci di corsa la strada fino a casa giu' per i sentieri e attraverso il torrente: secondo voi *cosa* arrivo' a mia mamma? ecco, appunto Ironico Mr. Green

io pero' sono stata molto fortunata: sono nata con sette nonni piu' "la jeja": quattro nonni e tre bisnonni e una prozia e me li ricordo quasi tutti!

la prozia - la jeja pina - e' stata una delle persone piu' importanti della mia vita da ragazza e... vi presento pure lei Mr. Green



era la zia di mio nonno (anche se relativamente poco piu' vecchia) e abitavano porta a porta; era la bonta' fatta persona e per me e' stata piu' della nonna che ho perduto da piccola; un ricordo? la sua mitica scatola dei bottoni! una scatola quadrata di latta dove aveva i bottoni di tutta una vita, ma anche medagliette dei santi, microscopici nastrini, fibbie per cinture, fermacapelli particolari, spille da balia... tutto quel che potete immaginare e anche qualcosa di piu' e per noi il tesoro dei tesori e soprattutto un posto dove potevamo frugare a nostro piacimento senza che nessuno ci dicesse nulla: un mito! Mr. Green

nella foto sta filando la canapa (la jeja pina e' quella in primo piano, l'altra dietro e' la "tonina carestia" Razz ) ed e' una ricostruzione fatta da mio papa' per non ricordo quale mostra fotografica organizzata a soranzen

mia mamma mi racconta che quando ero dai nonni si mobilitavano tutti (nonno, nonna, bisnonna e jeja) per il bagnetto: scaldavano l'acqua, gli asciugamani, le vestine... tutto sulla grande stufa a legna della cucina; finito "il soggiorno" dai nonni sono stata portata a piedi fino in paese (5km sulla strada lunga) avvolta nel grembiule della nonna

le foto vengono da un libro fatto anni fa dalla nostra pro loco e da li' ho recuperato anche la foto che segue: e' il paese di "montagne", dove abitavano sia mio nonno che la jeja, e' proprio alle spalle di soranzen ed e' il posto piu' bello del mondo: sempre al sole e sempre al fresco! (qui se ne vede solo un pezzetto)



mia cugina abitava dal lato opposto della valle e quando andavo da mio nonno era prassi "chiacchierare" accendendo e spegnendo le luci del poggiolo al primo piano Smile

un'altra persona di spicco e' stata la "nona taresa", madre del nonno elio morta quando avevo 6 anni: e' vissuta con noi per un periodo perche' si era infortunata ed e' stata lei ad insegnarmi l'alfabeto; avevo 4 anni, ma me lo ricordo benissimo! donna di grande polso, era la levatrice del paese e il "giudice" quando serviva

ehm... mi sa che mi sono fatta prendere la mano Embarassed
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MessaggioInviato: 20 Feb 2006 14:05    Oggetto: Rispondi citando

Rolling Eyes la pausa pranzo non mi basta per scrivere tutto ciò che vorrei, quindi mi limito a ringraziare reb ed emmett per le loro bellissime storie.
una di queste notti comincio a preparare una bozza del libriccino !!!

un po' di risposte a casaccio ad emmett...

Emmett Brown ha scritto:
tu che sei una grossa bambina di ventisette anni

Sbonk Sbonk Sbonk

Emmett Brown ha scritto:
da piccola giocavi con le biglie di plastica con le foto dei ciclisti dentro?

le ho vinte ai miei coetanei. giocando a carte.
la provenienza esatta non la so...

Emmett Brown ha scritto:
Ho fatto in tempo a frequentare (sotto casa) le ultime elementari della Storia cui bisognasse presentarsi col grembiule nero, il colletto rigido bianco e il fioccone azzurro

anch'io il primo giorno delle elementari avevo il grembiulino e il fiocchetto, che erano d'obbligo. a me stavano anche simpatici, così potevo pasticciarmi in santa pace con i pennarelli e quant'altro...
però le mamme delle mie compagne di classe hanno fatto una sommossa per far togliere l'obbligo del grembiule, visto che volevano che si vedessero i vestiti firmati che avevano comprato per le figlie.
per inciso, anch'io avevo tutti i vestitini firmati (armani, pier cardin etc etc) perchè mia mamma diceva che l'importante in un vestito era la qualità, e quegli abiti erano di un'ottima stoffa e cuciti bene (e duravano anni !!!). ricordo che staccammo tutte le etichette dai vestiti (e ancora oggi, qualunque capo d'abbigliamento compri, ho la fissa di scucire tutti i simbolini delle marche, ove possibile).

Emmett Brown ha scritto:
ricordo che in quinta la maestra mi diede un 4 in un compito in classe di matematica che era perfetto, da 9 o 10, ma le era sembrato scritto a matita, cosa imperdonabile poichè bisognava usare la biro o la stilografica blu.

anche a me abbassavano i voti di uno o due punti, però a causa della calligrafia orribile.

Emmett Brown ha scritto:
nuove biro 'bic nero di china punta fine' (chi se le ricorda?) col corpo giallo, il cappuccio nero e un tratto di scrittura molto fine e non nerissimo

anch'io usavo quelle penne, alle elementari.
e la magica quattro colori (rosso verde nero e blu), ovviamente !!!

Emmett Brown ha scritto:
...la Rai, che allora al mattino mandava in onda solo il monoscopio rotondo in bianco e nero col fischio audio...

il monoscopio me lo ricordo anch'io... l'avranno tenuto per anni ed anni, allora!!!

Emmett Brown ha scritto:
Come dite? Che ho rotto, che sono fuori tema di un paio di generazioni e che devo parlare del nonno e non di me?

se volete, modifichiamo il topic: il senso originario (nella mia testa) del gioco del nonno era avere un po' di informazioni di prima mano (e di seconda) di come si viveva nel 900. quindi, dal 1901 al 1990 (perchè le cose successe quando sono diventata un po' grandicella in parte me le ricordo...)
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danielegr
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MessaggioInviato: 23 Feb 2006 16:06    Oggetto: Rispondi citando

Madvero vorrebbe sapere COME si viveva negli anni dal 1901 in avanti, quando lei era ancora solo nella mente di Dio. Non è facile risponderle perchè noi, che ci siamo passati, abbiamo vissuto dei cambiamenti che al momento non ci sembravano traumatici (guerra a parte). Per esempio: le donne, logicamente, portavano la sottana. Non sarebbe stato immaginabile vedere una donna in pantaloni. Il pantalone è stato accettato per le donne solo molto più tardi, e in certi posti (ad esempio in chiesa) più tardi ancora. Ricordo che anche a mia moglie venne vietato l'ingresso in una chiesa (dovevano essere gli anni 70, mi sembra a Pisa) perchè aveva i pantaloni (lunghi, ovviamente). Tra l'altro in inverno credo che il pantalone sia molto più pratico della sottana.
Il nocciolo del cambiamento avvenuto dalla fine della guerra ad oggi credo che sia da ricercare principalmente nelle donne: nel loro modo di vestire, nella considerazione della quale godono, nel loro avvento sul mercato del lavoro e via dicendo. Se vi va, cercherò di fare dei raffronti fra l'allora e l'adesso, cercando principalmente di notare le differenze nel comportamento femminile. Che ne dite?
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MessaggioInviato: 23 Feb 2006 17:20    Oggetto: Rispondi citando

e cosa vuoi sapere? ti posso raccontare la storia della mia famiglia, se vuoi

per "mia famiglia" intendo principalmente la famiglia di mio padre semplicemente perche' di racconti ne ho di piu'; erano montanari e vivevano del lavoro dei campi e dei boschi

tagliavano la legna anche per conto terzi e la vendevano cosi' com'era oppure ne facevano carbone; falciavano i prati fino praticamente sulla cima e con il fieno allevavano delle mucche che servivano per il latte e per il formaggio e il burro che producevano in casa

avevano anche dei vigneti dove pero' l'uva cresceva a stento perche' il territorio non e' dei migliori, poi coltivavano patate e mais dal quale ricavavano la farina gialla per la famosa polenta; credo coltivassero pure la canapa che lavoravano per ottenerne dei tessuti (ho dormito anch'io nelle lenzuola grezze di canapa: sono freschi e molto comodi! Mr. Green )

mio padre - classe 36 - prima di andare a scuola accompagnava tutte le mattine un piccolo gregge fino al pascolo oppure portava il letame in spalla con una gerla su fino ai prati piu' alti per concimarli e dai suoi racconti dubito fosse una delle sue attivita' preferite, sic!

l'acqua l'andavano a prendere alla fontana del paese con due secchi di rame e un "bigol" o "zempedon" (a seconda della zona), un bastone ricurvo con due ganci ai lati da appoggiare in spalla e questa cosa me la ricordo anch'io, perche' l'acqua corrente mio nonno l'ha avuta in casa che ero gia' abbastanza grandicella: mio padre scavo' un pozzo poco distante dalla casa e tiro' l'acqua fin dentro la cucina; per lavare la biancheria c'era il lavatoio del paese, posto accanto alla fontana (dove abbeveravano anche il bestiame, tra l'altro e dove l'acqua vien fuori con un fiotto continuo grosso quanto il mio braccio direttamente dalla vena posta due metri dietro)

ricordo la jeja pina che ancora lavava i panni al lavatoio e accompagnarcela era una delle attivita' di noi bambini quando eravamo da quelle parti: attivita' molto affascinante da guardare, ma altrettanto pesante da portare a termine!

che altro? beh, i miei nonni erano "ricchi": avevano un cavallo da lavoro e una bicicletta, l'unica del paese che gli altri venivano a prendere a prestito quando c'era da andare dal medico

il nonno materno era un ottimo falegname, molto ingegnoso: ha inventato un sacco di aggeggi strani e di lavoro faceva il manutentore in una grande villa della zona - villa gaggia; la nonna cuciva camicie per conto terzi con la macchina a manovella e le figlie sono andate gia' da giovanissime a far pratica da una sarta poco distante, lavoro che hanno poi continuato a fare anche in seguito; il prozio della mamma faceva il maniscalco, ferrava i cavalli insomma, e faceva anche un altro lavoro: i buchi nelle orecchie delle bambine di famiglia; secondo voi CHI mi fece i buchi all'epoca? Mr. Green

avevo tipo 4-5 mesi o giu' di li' e naturalmente non me lo ricordo, ma nella mia mente c'e' questo zio vestito elegante (cosi' lo conobbi io) con il grembiule da maniscalco, l'incudine e il martellone a fianco che mi buca le orecchie "con un ago passato sul fuoco e un tappo di sughero dietro: non hai neanche detto bah!" 8)

dalle mie parti l'emigrazione era la norma: credo che tutti-ma-proprio-tutti i miei parenti di primo e secondo (e anche terzo) grado siano emigrati per periodi piu' o meno lunghi; una delle mete della generazione dei nonni era il belgio e le sue miniere di carbone, mentre per la generazione dei miei era la svizzera: winterthur, rapperswil, zurigo...
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MessaggioInviato: 23 Feb 2006 19:25    Oggetto: Rispondi citando

Per esempio: qualcuno fra i più anzianotti (i vecchi non esistono: a Milano si dice 'Hin vecc quej che moeren') ricorderà come si portava una ragazza su uno scooter. Il maschietto era (inutile dirlo) il guidatore, e la ragazza, che mai avrebbe acconsentito a sedersi sulla moto a cavalcioni, sedeva 'all'amazzone', vale a dire seduta di traverso sul sellino, ovviamente con la sottana e ben abbarbicata al guidatore. Non poteva fare diversamente, perchè altrimenti alla prima curva sarebbe rovinosamente caduta, quindi doveva per forza abbracciare il conducente, che le piacesse o no. E' il caso di aggiungere che qualcuno se ne approfittava?
Una cosa del genere oggi, oltre che essere proibitissima dal codice della strada
sarebbe assolutamente impensabile (per conferma chiedere alla dea Biker...)
La sottana (voi direte che sono fissato con le sottane...) doveva essere tenuta ben stretta intorno alle gambe e, nel caso che le sottane fossero larghe, bisognava che la ragazza se la rivoltasse sotto il sedere in modo che non sventolasse con il vento di corsa. Erano manovre abbastanza complicate, ma nessuna ragazza avrebbe mai rinunciato a compierle.
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madvero
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MessaggioInviato: 23 Feb 2006 21:41    Oggetto: Rispondi citando

ragazzi i vostri racconti sono fantastici.
io al massimo posso vantarmi di ricordare come si viveva "senza il cellulare", ma la vita quotidiana che mi descrivete voi mi sembra a dir poco settecentesca: sono sempre più affascinata da questo "passato recente", e comincio a chiedermi se sotto sotto non fossero più felici nonni e genitori, rispetto a noi.
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MessaggioInviato: 24 Feb 2006 19:32    Oggetto: Rispondi citando

Oggi parliamo di parolacce: leggendo su un giornale locale il caso di un ragazzo che ha denunciato il suo prof perché gli aveva dato uno schiaffo, mi è vento un flash si un fatterello che avevo completamente dimenticato e che dovrebbe risalire al 1942 o giù di lì, credo in seconda elementare. Allora era assolutamente vietato dire parolacce, sia da parte dei grandi che, a maggior ragione da parte dei bambini. Erano parolacce per modo di dire, viste con gli occhi di oggi, credo che la più audace fosse 'cacca', ma a scuola avrebbero sollevato grande scandalo. La maestra aveva beccato un bambino che si era lasciato scappare un qualche termine non ammesso e come punizione gli aveva inflitto una bella lavata di bocca col sapone, punizione impartita seduta stante.
Precisiamo: il sapone era sapone da bucato, quindi non molto profumato, e la bocca veniva lavata NELL'INTERNO. La maestra strofinava il dito bagnato sul sapone e poi lo infilava nella bocca del malcapitato e li massaggiava abbondantemente l'interno della bocca, provocando un po' di schiuma.
Peraltro era una punizione spesso minacciata, e non solo a scuola, ma io l'ho vista applicare solo quella volta.
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MessaggioInviato: 26 Feb 2006 15:42    Oggetto: Rispondi citando

ed ecco da dove deriva la frase "dovresti lavarti la bocca col sapone" che mi hanno detto alcune volte da piccola i preti della parrocchia...
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MessaggioInviato: 27 Feb 2006 19:38    Oggetto: Rispondi citando

Oggi invece vorrei parlare di moto, o meglio di scooter. Subito dopo la guerra era uscita la Vespa, la più grande invenzione fatta dalla Piaggio. Aveva avuto un successo incredibile perchè era un mezzo di locomozione abbastanza economico, abbastanza parco nei consumi ma, soprattutto, era carenata, cosa che permetteva di spostarsi senza timore di sporcarsi i vestiti (beh, quasi senza timore). Era quindi comodissima per andare al lavoro, permetteva di trasportare un passeggero (meglio se una passeggera..) e il consumo contenuto (mi pare si riuscisse a fare 35-40 chilometri con un litro di miscela) ne faceva uno strumento ideale sia per i giovani che per i meno giovani. La velocità non era eccessiva, però sufficiente, intorno agli 80 Kmh e, d'altronde una velocità superiore con quelle ruote piccole avrebbe potuto essere pericolosa. Sulla scia della Vespa è stata prodotta la Lambretta dalla Innocenti, che fino ad allora produceva tubi per impalcature. Mentre il nome Vespa chiaramente derivava dalla forma dello scooter che aveva il grosso della carenatura davanti e dietro, mentre in mezzo sembrava che ci fosse solo la pedana (vita di vespa) il nome Lambretta derivava dal fiume Lambro che scorreva vicino agli stabilimenti della Innocenti, e che già aveva dato il nome al quartiere di Lambrate.
Entrambi gli scooter avevano doti simili di velocità e di consumo, ma la Vespa aveva dalla sua il vantaggio di una migliore carenatura che permetteva un riparo accettabile anche in caso di pioggia e una minore probabilità di sporcarsi i vestiti durante la marcia
La mia prima moto è stata una Lambretta, era quella che costava meno e l'avevo pagata a rate, credo da 8.000 lire al mese con i miei primi guadagni di lavoro. Doveva essere la primavera del 1955.
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emilio.roda
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MessaggioInviato: 27 Feb 2006 20:32    Oggetto: Rispondi citando

madvero ha scritto:
ed ecco da dove deriva la frase "dovresti lavarti la bocca col sapone" che mi hanno detto alcune volte da piccola i preti della parrocchia...


a me dicevano "non andare troppo dietro alle sottane" e finalmente ho capito anche questa
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juzo kun
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MessaggioInviato: 27 Feb 2006 23:12    Oggetto: Rispondi citando

Dei due tengo più ricordi - molti di più - dal ramo materno. Mio nonno, più che dire, faceva. Manifestazioni d'affetto: ricordo delle manate sulle spalle che mi stampavano sul muro. Scoprii che per molti mantovani della vecchia guardia era uso comune salutarsi amichevolmente mandandosi dei cancheri, e lui non faceva eccezione. Mi ha fatto un po' da padre, visto che mio padre in quel periodo non era molto presente - con l'era del babyboom inizò anche l'era di entrambi genitori fuori di casa a lavorare, con relativo affibbiamento del pargolo ai nonni.

È passato del tempo, se n'è andato il giorno del crollo della torre civica di Parma. Ho scoperto in questo modo che di depressione si muore.

Viaggiava parecchio per le città d'arte, e spesso anziche no quando andava a Firenze mi portava con sè. Ricordo il laboratorio di restauro, un labirinto di stanze e corridoi come tutte le vecchie case del centro di Bologna, che ogni tanto ritorna nei miei sogni. L'odore del legno trattato, dei colori, della cera, e l'abitudine che ho sempre avuto - al limite del disturbo ossessivo-compulsivo - di toccare di nascosto i legni, le statue, proprio lì in un angolino nascosto.

1966, alluvione dell'Arno, a Firenze. Tra quelli che andarono la a scavare in mezzo al fango per tentare di recuperare il recuperabile c'erano anche mio nonno e mia madre. Vidi il programma qualche tempo fa. Nessuno che abbia accennato al fatto che non tutto quello che è sparito è finito in Arno, ma anche nelle case di collezionisti decisamente spregiudicati. Il ramo materno è sempre stato abbastanza sensibile al discorso "acqua", fin da quando si trovarono il Mincio in soggiorno. Letteralmente.

Mia nonna ha sempre vissuto all'ombra del marito, da giovane cantava - ancora adesso ha una voce chiara e squillante, nonostante l'ottantina d'anni e rotti, ma non c'è più molto con la testa. L'unico contrasto che ebbe col nonno fu sul nome della primogenita. Motivo per cui tutti chiamano mia madre in un modo ma all'anagrafe è chiamata in un altro. La sua frase "c'ero io lì a spingere e quindi il nome lo scelgo io" è rimasta storica. Considerato che era in un rifugio nel bel mezzo di un bombardamento, aveva le sue buone ragioni per alterarsi.
Però adesso quando le chiedo di raccontare qualcosa s'incasina. Per le date devo chiedere dieci volte e fare la media statistica.

Del ramo paterno ho pochi ricordi, non abbiamo mai legato molto (credo di aver ripreso a parlare a mio padre giusto sei/sette anni fa - ne ho appena fatti trentasei).

Il nonno paterno era vigile urbano. Il primo giorno di pensione è passato col rosso e ha preso la multa.

Secondo me l'ha fatto apposta.

Cià
JK


L'ultima modifica di juzo kun il 27 Feb 2006 23:53, modificato 1 volta
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alu
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MessaggioInviato: 04 Mar 2006 18:40    Oggetto: Rispondi citando

Sono una nonna... Smile

Vi mando intanto la descrizione di due giochi della mia infanzia (a Milano, subito dopo la guerra), che avevo scritto per i miei nipotini.

Spero vi piaccia.

Un gioco che facevamo in casa, quando non eravamo più di una decina tra bambini e bambine, era il gioco dell'assassino. Ci chiudevamo in camera mia, e distribuivamo a tutti una carta nascosta. Solo due carte avevano un significato: una, l'asso di picche, rappresentava l'assassino, ed un'altra, mi pare un fante, rappresentava l'investigatore. Ogni bambino guardava la sua carta, poi si spegneva la luce. Quando l'assassino uccideva la sua vittima (stringendole il collo con le mani) lei doveva lanciare un urlo, e la luce veniva immediatamente accesa. L'investigatore a questo punto si faceva riconoscere, e iniziava l'inchiesta. Vinceva lui, se individuava il vero assassino (che doveva mostrare la sua carta). Vinceva invece l'assassino se non veniva scoperto, e al suo posto veniva accusato un innocente.
Noi bambini avevamo un forte senso delle regole, per cui in genere il gioco procedeva bene. Potevano succedere degli equivoci e delle contestazioni soltanto di rado, quando per esempio l'assassino uccideva l'investigatore, e non si sapeva più come continuare; oppure quando un bambino urlava per sbaglio, perché si era sentito sfiorare il collo da una mano, ma non era stato assassinato davvero.


Un altro gioco si poteva invece fare nel lungo corridoio della casa di Milano dove vievo con gli zii e il nonno; c'era un libreria piena di libri che arrivava sino al soffitto, ed il soffitto era alto più di quattro metri. Era un gioco riservato ai bambini più agili e consisteva nel fare a gara a chi riusciva a raggiungere più rapidamente il soffitto, arrampicandosi sugli scaffali. Gli scaffali erano polverosi, e la prova dell'obiettivo raggiunto consisteva nell'imprimere sul soffitto l'impronta polverosa della mano.
Quando, circa trenta anni fa, sono entrata per l'ultima volta in quella casa, l'impronta nera della mia piccola mano era ancora ben visibile sul soffitto, evidentemente mai più riverniciato. Credo che però alla fine questo gioco ci sia stato proibito, credo perché rovinavamo gli scaffali.

Di storie della mia infanzia ne ho ancora parecchie, volendo.
Non solo giochi, ma anche eventi un po' più drammatici.

Anch'io giocavo coi "tollini" (con due elle, secondo me: da "tolla" = latta), alla pista di biciclette. Ma ve la racconto un'altra volta, se volete.

alu
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alu
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MessaggioInviato: 04 Mar 2006 19:16    Oggetto: Rispondi citando

Gipi' ha scritto:
Benvenuta Alu Fiori ,

non potra' che essere un piacere leggerti, questo post e' nato proprio con lo scopo di mettere nero su bianco i ricordi.


Grazie dei fiori Very Happy

Allora vi mando altri giochi.

Di fronte alla casa di Milano c'era un largo marciapiede, i miei però trovavano poco decoroso che giocassi per strada, così facevo entrare a giocare in giardino tutti i miei amici. Anche i loro genitori erano contenti che i loro figli potessero giocare "al sicuro" in un giardino, invece che in mezzo alla strada (in realtà io ho sempre pensato, e penso ancora, che il largo marciapiede alberato della strada fosse un luogo molto più sicuro del nostro grande giardino, pieno di trabocchetti).
La cosa più bella del giardino era la magnolia. Era un albero imponente, alto circa tre piani, che cresceva nel centro della parte bassa del giardino, di fronte alle finestre della cucina.
Sino all'altezza di circa due metri gli erano stati tagliati i rami per fare il fuoco durante la guerra, ed il suo tronco, tutto nero della fuliggine dei treni della ferrovia Nord, io non riuscivo ad abbracciarlo alla base con le braccia.
Salire sino al primo ramo, sui moncherini dei rami tagliati, era molto difficile. Ci esercitammo a lungo, ed alla fine imparammo a raggiungere il primo ramo con una certa facilità. Di lì in seguito ci avventurammo più in alto, sino al sesto ramo, che era all'altezza dell'ultimo piano della casa. Più su giudicammo che era troppo pericoloso salire, perché i rami erano troppo sottili (i rami della magnolia sono disposti in circolo tutti alla stessa altezza, per cui contando dal primo anello di rami, si poteva numerarli dal basso verso l'alto).
Il sesto ramo divenne il mio rifugio segreto. Mi sedevo sul sesto ramo, con le spalle appoggiate al tronco, le gambe allungate sul ramo stesso, e le braccia appoggiate sui due settimi rami laterali, che fungevano da braccioli. Era come una poltrona, e lì nascosta potevo meditare in pace.
Un giorno il più agile e spericolato dei miei amici, verso il quale provavo una grande ammirazione, fece un'impresa ardita. Si sporse, reggendosi appeso con le mani, sino all'estremità del sesto ramo, e si appese all'esterno dell'albero, sulle fronde. Il sesto ramo si incurvò abbassandosi, e lui poté appendersi al quinto ramo. E così via, scivolando dolcemente sulle fronde, scendendo di ramo in ramo, arrivò sino a terra. Lo imitai anch'io, ma una volta sola, perché mi sembrò troppo pericoloso.


Un giorno decidemmo di costruire un'altalena: appendemmo al primo ramo una corda, e l'altalena fu fatta. Un giorno passò un adulto che entrava in casa, e ci fece notare che quell'altalena era pericolosa, perché la corda era troppo sottile, e si sarebbe rotta.
Di corde non ne avevamo altre, così decidemmo di prepararci ad un'eventuale rottura: ci dondolavamo con grande forza, e quando eravamo nel punto più alto (circa due metri) saltavamo giù d'improvviso. L'arte stava nel cadere in piedi, con un elegante piegamento. Il sistema funzionò. Quando alla fine la corda si ruppe la bambina che vi stava sopra cadde bene: non proprio con un elegante piegamento, ma sulle mani e sulle ginocchia, e non si fece nulla.


I miei amici erano i bambini che giocavano per strada, sul marciapiede. Erano bambini, soprattutto maschi, tutti quasi coetanei tra loro e di circa tre anni maggiori di me, per lo più figli dei portieri dei palazzi vicini, ma anche delle più varie provenienze sociali. Io cominciai a uscire dal cancello, per giocare per strada con loro. I giochi che si facevano per strada erano principalmente due:
il gioco del pallone, ed io imparai a fare il portiere, anche se non divenni mai particolarmente brava, forse anche a causa delle mie piccole dimensioni.
L'altro gioco era quello della "pista": si disegnava un tracciato col gesso sul marciapiede, e su quello si facevano correre, spingendoli col dito con una schicchera, le squadre dei ciclisti. I ciclisti stessi erano rappresentati da "tollini", cioè tappi di bottiglie di latta, opportunamente preparati. Si andava dall'uomo del bar, il quale metteva da parte per noi sacchi di tappi di latta. Si faceva un'accurata cernita dei migliori, quelli che avevano subito minori deformazioni durante il processo di apertura. Dai tollini peggiori si asportava il tappino di sughero (adesso non esiste più, oppure è di plastica), lo si ricopriva con l'immagine ritagliata del proprio ciclista preferito, si incartava il tutto con un foglietto di cellofan, e lo si infilava sopra il tollino buono cui era stato lasciato in sede il suo sughero, in modo che ne risultasse appesantito. L'operazione era molto importante, perché solo con un tollino ben preparato era possibile ottenere tiri dalla traiettoria diritta e precisa. Ero abbastanza brava. Tenevo per Bartali, ma di solito facevo il gregario, sia perché ero piccola, sia perché ero femmina.
Quando smettemmo di giocare per strada perché i miei trovarono che non stava bene, ed io cominciai a far entrare tutti i miei amici in giardino, provammo a fare la pista, e i più ingegnosi scoprirono che sulla terra era possibile giocare con le biglie, su piste di terra come quelle che si facevano al mare sulla spiaggia. Ma non era la stessa cosa. Così per giocare a tollini continuammo ad andare tutti sul marciapiede, malgrado il divieto.

Va bè, altre storie un altro giorno.

Ecco, scrivendone ora, mi accorgo che la più grande differenza coi giochi che facevano i miei figli, e peggio ancora i miei nipotini, è che i giochi di allora erano piuttosto pericolosi.

Forse allora si pensava meno ai possibili pericoli - del resto, c'era stata la guerra, e la guerra è molto pericolosa per tutti... e poi, non ci siamo mai fatti male davvero.

A mio figlio, anche lui piuttosto agile, ho sempre consentito di fare giochi che altre madri non consentivano, se lui si sentiva sicuro.

I miei nipoti invece sono sempre stati piuttosto prudenti.

A un altro giorno
alu
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Gipi'
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MessaggioInviato: 04 Mar 2006 19:28    Oggetto: Rispondi citando

Non sono un nonno,
ma queste considerazioni si allacciano a quanto scritto da Alu:

- Trascorrevamo ore ed ore costruendoci carretti a rotelle ed i fortunati che avevano strade in discesa si lanciavano e, a metà corsa, ricordavano di non avere freni. Dopo vari scontri contro i cespugli, imparammo a risolvere il problema. Si, noi ci scontravamo con cespugli, non con auto!

- Uscivamo a giocare con l'unico obbligo di rientrare prima del tramonto. Non avevamo cellulari... cosicché nessuno poteva rintracciarci. Impensabile ora.

- Ci tagliavamo, ci rompevamo un osso, perdevamo un dente, e nessuno faceva una denuncia per questi incidenti. La colpa non era di nessuno, se non di noi stessi.

- Mangiavamo biscotti, pane olio e sale, pane e burro, bevevamo bibite zuccherate e non avevamo mai problemi di soprappeso, perché stavamo sempre in giro a giocare...

- Condividevamo una bibita in quattro... bevendo dalla stessa bottiglia e nessuno moriva per questo.

- Non avevamo Playstation, Nintendo 64, X box, Videogiochi, televisione via cavo con 99 canali, videoregistratori, dolby surround, cellulari personali, computer, chatroom su Internet... Avevamo invece tanti AMICI.

- Uscivamo, montavamo in bicicletta o camminavamo fino a casa dell'amico, suonavamo il campanello o semplicemente entravamo senza bussare e lui era lì e uscivamo a giocare.

- Si! Lì fuori! Nel mondo crudele! Senza un guardiano! Come abbiamo fatto? Facevamo giochi con bastoni e palline da tennis, si formavano delle squadre per giocare una partita; non tutti venivano scelti per giocare e gli scartati dopo non andavano dallo psicologo per il trauma.

Con nostalgia Wink
.
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MessaggioInviato: 04 Mar 2006 19:58    Oggetto: Rispondi

Ma che brava Alu!! anche tu nonna e anche tu, come me, subito dopo la guerra abitavi dalla parti delle Ferrovie Nord!! Io ero in Via Leopardi, un posto ideale per un bambino, vicino al Parco e in una strada (allora) tranquilla.
Il proseguimento della strada, sulla destra terminava contro un bel cancello che chiudeva una strada privata che, probabilmente sfociava ina una villa lussuosa che però non ho mai potuto vedere. Il cancello, quando non si vedevano i proprietari, era un'ottima porta nel gioco del pallone. Lì c'era spesso un ragazzino, di un anno o due maggiore di noi, che ogni tanto lavava la Vespa (una delle primissime esistenti). Noi lo guardavamo con malcelata invidia (anzi: non malcelata, EVIDENTISSIMA invidia condita anche da commenti) e lui, questo impunito (l'invidia non mi è ancora passata del tutto) ci guardava e si lamentava: 'sapeste come è difficile, come è difficile...'
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