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Brujeria
Eroe in grazia degli dei
Eroe in grazia degli dei


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MessaggioInviato: 08 Feb 2006 10:31    Oggetto: l'aquilone Rispondi citando

"e io ti dico che se mi impegno riesco a mandarlo più in alto del tuo...con il vento buOno a favore chiaramente"

"ma smettila! non è ancora nato nessuno in questa valle capace di battermi..ricordi alla fiera di due anni fa? ho fatto il record del paese...del paese capisci?!? non della valle ma del paese!"

"certo certo..ricordo benissimo anche la festa che ne è seguita...ci siamo ubriacati tutti con quell'ottimo sidro...che gran serata..."

l'abbaiare di Roska li strappò dal loro ricordar ubriacature e li riportò all'attuale
si voltarono in direzione del cane, e videro una ragazza con uno zaino in spalla che correva verso di loro agitando le braccia
a dire il vero non furono loro a notarla per primi, bensì il loro cane, un Komondor bianco con una strana macchia nera proprio al centro della fronte
i ragazzi si preoccuparono subito di ciò che poteva accadere alla sconosciuta, dato che Roska era nato e cresciuto solo con loro due, e per via della sua razza docilissima, ma incredibilmente attaccata al padrone, non avrebbe esitato a gettarsi contro un intruso, come era successo con quel rubagalline due settimane prima
Roska correva verso Marta, e le sue lunghe treccine si agitavano nell'aria in ogni direzione
Ruben, il più alto dei due, iniziò a rincorrere il cane per tentare di fermarlo, ma quello sembrava portato dal vento
si sgolò nel tentativo di richiamarlo all'ordine, ma quello sembrava infischiarsene della voce del padrone, e questo era strano...Roska non
aveva mai disubbidito a Ruben..
i due fratelli già vedevano il loro fido compagno saltar alla gola della povera ragazza quando ad un tratto la persero di vista dietro un avvallamento del terreno
nella sua corsa forsennata sbracciandosi per attirar l'attenzione dei due, Marta inciampò in un cespuglio di mirtilli e cadde a terra rovinosamente
in quel mentre Roska le fu sopra con bue atletici balzi

"ROSKAAA! ROSKAAA!! FERMATI PER L'AMOR DI DIOOO!!! TORNA QUAAA!!!"

Ruben e Rudolph arrivarono subito dopo il cane e quel che videro li stupì non poco

Roska stava saltellando attorno alla ragazza, che sorrideva e lo spintonava ogni volta che lui la urtava col possente muso bicolore, oltre a darle una bella lavata di faccia con la lingua rosa e penzolante
Marta rideva e sembrava che pure il cane stesse sorridendo
i due fratelli non ci capivano più nulla
"è vostro questo..questo tornado?" chiese Marta fra una risata e una leccata del cane
"s..si si" balbettò Rudolph incredulo
Ruben richiamò all'ordine Roska il quale, diligente come sempre, tornò al suo fianco e si sedette fiero
Marta si asciugò il viso dall'irruenta simpatia del cane e si rialzò, ma ripiombò subito per terra
"AHIO! la mia caviglia..maledizione.."
"mi sa che ti sei presa una bella storta con quella caduta" le disse Ruben "spero non sia stato Roska a farti cadere"
"no no..ho fatto tutto da sola, come solito" rispose lei "lo diceva sempre mia nonna che inciampavo pure nei fili d'erba quando correvo"
"s..se v..v..vuoi v..v..venire d..da noi alla m..m..m..malga potresti riposarti un po' e m..m..magari troviamo pure del ghi..ghi..ghiaccio da
metterci s..s..sopra, così almeno non si g..g..g..g..gonfia"
Rudolph balbettava che era uno splendore quando era nervoso oppure eccitato, ed ora entrambe le emozioni lo riempivano da capo a piedi
non capitava spesso di vedere delle ragazze su quei monti, e soprattutto delle ragazze carine come questa...figurarsi poi il poterla invitare a casa loro, anche in un'occasione non proprio positiva come questa

"ma si dai, mi sa che è meglio metterci sopra del ghiaccio, altrimenti chissà come mi si gonfia, e addio camminata..." rispose loro Marta,
pensando che la loro attenzione l'aveva sicuramente attirata, non esattamente come voleva, ma si erano accorti di lei, e a casa oltre al
ghiaccio sarebbe riuscita a farsi offrire pure qualcosa da mangiare...sembravano simpatici questi due...quello che balbettava poi, troppo una faccia da buono
l'aiutarono ad alzarsi e Rudolph la sollevò con un'agilità che non si sposava con la sua statura "inesistente", e la caricò in spalla a Ruben
"ma no ma no...non ce n'è bisogno..basta solo che mi prestiate un bastone a cui possa appoggiarmi" disse Marta arrossendo, ma i due simpatici
quanto strani fratelli erano già in marcia, anticipati dal fedele Roska che in bocca teneva lo zaino
"è la prima cosa che sta girando bene da quando sono partita" pensò Marta appoggiandosi alle spalle di quello strano portantino, e chiuse gli

occhi per godersi l'arietta fresca che tirava da est....
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Dio maturo
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MessaggioInviato: 09 Feb 2006 14:19    Oggetto: Rispondi citando

Viaggiarono tutto il giorno. Giorgio guidava rilassato e Giacomo si godeva il paesaggio circostante.

Al tramonto, dopo parecchi chilometri a Giacomo iniziò a ciondolare la testa per il torpore che di solito assale il passeggero, Giorgio invece sembrava si fosse messo da poco alla guida. Guardando l'amico: ?Ma tu non sei stanco?? ?Abitudine e allenamento, vuoi che ci fermiamo?? ?Sarebbe meglio, mi sembra di essere uno zombie e questa inattività mi uccide!? ?Va bene, al primo posto un po' isolato, troviamo da dormire? sorridendo Giorgio sterzò, lasciando la strada principale per prendere una laterale a destra, sembrava sapesse benissimo dove andare, Giacomo oramai non si stupiva più di nessuna cosa che l'altro faceva, aveva la massima fiducia nel gigante che gli stava a fianco.

Arrivarono in un campeggio, una serie di bungalows erano allineati alla destra dell'ufficio, altri invece erano sparsi qua e là, circondati da piccoli giardinetti, la loro disposizione apparentemente casuale, a Giacomo fece pensare che qualcuno, presa una manciata di casette, le avesse seminate, lasciando che il vento decidesse la loro destinazione, questa immagine da fanciullo lo fece sorridere e gli fece tornare il buonumore.
Svolte le formalità di rito per la registrazione, si avviarono verso il cottage più lontano.
?Perchè gli hai detto la balla dei documenti lasciati in aeroporto e gli hai dato nomi falsi?? fu la richiesta di Giacomo, stranito per il comportamento dell'altro, il buonumore gli stava passando e la tensione tornava a farsi sentire; ?Meno gente sa, meglio è!? fu la risposta secca.

Giacomo uscì dal bagno pronto a infilarsi sotto le coperte, sentiva proprio il bisogno di un sonno ristoratore, vide che l'altro era seduto sul letto e non sembrava avesse voglia di coricarsi, ?Che fai, non vai a letto?? Giorgio alzando la testa: ?Non ho per niente sonno, uscirò un po' a godermi la notte, non ti preoccupare, dormi, domani ci aspetta un lungo, lungo viaggio, riposati più che puoi, non so quando potremo ancora dormire? queste parole ebbero il potere di accentuare ancora di più la tensione del ragazzo, la stanchezza però reclamava di essere soddisfatta così si coricò mentre l'altro usciva.

L'aria della notte era fresca e Giorgio l'aspirò a pieni polmoni, poi alzando gli occhi al cielo iniziò a pregare, mentre stava svolgendo quel rito quotidiano, i suoi sensi percepirono qualcosa, non era il fruscio di qualche animale notturno, e poi l'odore che gli arrivava alle nari non era selvatico era umano. Si girò in direzione del rumore e si trovò di fronte un uomo dall'aspetto atletico, l'altro lo guardò e sul suo volto apparve un'espressione di sorpresa: ?Ma sei ancora vivo? Io ti ho già ucciso, ti ho travolto con la macchina? disse in un sibilo alzando minacciosamente la pistola che teneva nella sinistra, ?Hai ucciso mio fratello? fu la lapidaria risposta in cui si percepiva una rabbia crescente; ?Bene, ora finirò l'opera, il gran maestro sarà contento di sapere che ho distrutto interamente un nido di vipere? dicendo questo si avvicinò ancora di più e Giorgio poté vedere che la pistola impugnata era dotata di un lungo silenziatore il cui buco minaccioso puntava diritto alla sua fronte.

?Finalmente un po' di sonno? si disse Giacomo apprestandosi a prendere sonno, chiuse gli occhi e... sentì delle voci provenienti dall'esterno. La cosa gli parve troppo strana, pensò ad uno scherzo dei suoi nervi ma la tensione lo fece alzare per sbirciare fuori dalla finestra. Quello che vide gli fece gelare il sangue: un uomo alto e muscoloso stava minacciando Giorgio con una pistola. Il suo addestramento militare gli fece compiere le azioni successive d'istinto, senza pensare, come era successo nei tre anni di ferma, durante le missioni.
Silenzioso più di un gatto, uscì dalla finestra del bagno, girò intorno alla casa e si portò alle spalle dell'aggressore. ?Prega bastardo, la tua ora è arriv...? la frase fu interrotta dal braccio di Giacomo che con una cravatta, l'interno del gomito intorno alla carotide dell'avversario preso da dietro, strozzò le parole nella gola che stava stringendo, piegando le ginocchia e abbassandosi di fianco, Giacomo fece un ?ponte?caricandosi l'altro sulla schiena tenendogli sempre il braccio intorno alla gola. Un singulto e un tenue rumore, come se qualcuno in lontananza avesse calpestato un ramo secco, indicarono che l'uomo era morto, con l'osso del collo spezzato. Lasciando cadere quello che ormai sembrava una bambola di pezza, Giacomo guardò l'amico con aria interrogativa, l'altro rispose: ?Dobbiamo andarcene e subito!?

?Voi non andate da nessuna parte!? disse un'altra voce, i due si girarono e si trovarono di fronte cinque individui minacciosi e tutti armati, quello che aveva parlato e che sembrava il capo ordinò: ?Ammanettateli!!? I polsi di Giacomo furono chiusi da un paio di manette, quando fu il momento di Giorgio sorsero i problemi: ?Karl, a questo le manette nemmeno si chiudono, ha i polsi troppo grossi?, l'interpellato alzò la pistola, si sentì un sbuffo e l'uomo che stava cercando di ammanettare Giorgio cadde a terra con un buco in mezzo alla fronte, ?Idiota, così impari a fare il mio nome? poi rivolto agli altri disse: ?Usate una catena e imprigionategli i polsi, ah cingetegli anche il collo, a strozzo come si fa con i cani, non si merita di meglio? ridendo sgangheratamente a quella che gli era sembrata una buona battuta.
Raccolti i bagagli e gli effetti personali dei due, facendo così sparire ogni traccia di presenza, il drappello si avviò per uscire dal campeggio e salire su due macchine poco distanti l'entrata.
Dopo un breve viaggio, l'auto arrivò in uno spiazzo ove aspettava un aereo, i due prigionieri furono fatti salire a spintoni, quando furono tutti dentro il capo ordinò: ?Via presto, a Budapest, il gran maestro ci aspetta là?
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MessaggioInviato: 10 Feb 2006 13:18    Oggetto: Rispondi citando

Il viaggio in treno fino a Budapest non fu riposante. L'ispettore Perutz sperava di poter approfittare di quelle ore per recuperare un po' di energie e soprattutto la sua lucidità di analisi: nelle ore e nei giorni successivi ne avrebbe avuto bisogno come mai in precedenza. Quello era stato il motivo che lo aveva spinto a chiedere un posto nel vagone letto, pur rappresentando un fattore di rischio aggiuntivo: tali posti venivano venduti nominativamente, al contrario dei posti normali, che non prevedevano l'identificazione del passeggero. L'ispettore aveva presentato al bigliettaio un documento dal quale risultava la corretta identità, ma non la professione: sperava in quel modo di essere più facilmente confuso nella massa di viaggiatori che ogni giorno transitavano per la stazione centrale di Praga.
Non riuscì comunque a prendere sonno: la mente continuava a riesaminare il percorso delle lunghe indagini che aveva svolto nei mesi precedenti, e cercava di collegare tra loro i fili pendenti, i particolari che non era ancora riuscito a spiegare.

Il caso era stato ufficialmente aperto sei mesi prima, con la scomparsa misteriosa di un sacerdote appartenente alla chiesa ortodossa romena. L'anziano religioso viveva in un monastero nei dintorni di Praga, insieme con alcuni confratelli, ed apparentemente svolgeva l'abituale attività di assistenza religiosa a favore dei connazionali emigrati nella repubblica Ceca.
Perutz lo conosceva bene, da molti anni, ed era a conoscenza anche del ruolo di studio e di ricerca che il sacerdote svolgeva sulle sette religiose che, sempre più numerose e potenti, si infiltravano nel tessuto della società. Praga era nota negli ambienti dell'occultismo come uno dei vertici di un misterioso triangolo magico, avente gli altri ubicati in Italia ed in Francia, e questa fama aveva incentivato la nascita delle sette più strane, basate sulle più incredibili leggende. Padre Jacob, in lunghi anni di ricerca, aveva approfondito la conoscenza di quel sottobosco nascosto, cui approdavano numerose le menti dei più giovani, desiderosi di esotismo e delle appariscenti pratiche liturgiche riservate agli iniziati.
Le sue indagini, però, lo avevano portato a scoprire un'altra organizzazione, un antico e segreto ordine para-religioso, mimetizzato nel mare delle nuove sette. Molto più pericoloso, non aveva procedure appariscenti, nè sembrava cercare proseliti, e si manifestava a pochi adepti. I pochi nuovi elementi venivano scelti accuratamente e cooptati senza clamore, con l'obiettivo di far parlare di sè il meno possibile. Aveva coperture ed agganci insospettabili, ed alcuni dei membri più autorevoli ricoprivano importanti cariche pubbliche nelle istituzioni di molte nazioni europee.
Quando Padre Jacob si imbattè in quell'organizzazione, non tardò a comprenderne il potere e la pericolosità, e contattò il suo più promettente discepolo, Gustav Perutz. Gli comunicò parte delle sue scoperte, gli elementi di cui era certo, ben sapendo che la sua abilità investigativa lo avrebbe portato ad ottenere nuove informazioni.
La collaborazione tra i due era proseguita per lungo tempo, ed aveva dato alterni risultati: l'ordine era molto ben protetto, e spesso accadeva che le persone con esso coinvolte perdessero la vita in incidenti apparentemente insospettabili oppure scomparissero, senza lasciare traccia.
Questo fu ciò che accadde, qualche mese prima, a Padre Jacob. Una sera della precedente primavera, il religioso si ritirò nella sua cella, nel monastero. Di lui non venne più trovata alcuna traccia: qualcuno ipotizzò una fuga volontaria, qualcuno addirittura un amore clandestino. Soltanto Perutz, oltre ai responsabili, conosceva la verità: iniziò a svolgere indagini per conto suo, grazie all'autonomia di cui godeva. Dopo alcuni mesi di infruttuose indagini ufficiali, il caso venne accantonato dalla sezione omicidi e persone scomparse, ed affidato alla sezione CZ.
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MessaggioInviato: 11 Feb 2006 11:54    Oggetto: Rispondi citando

«Budapest! Budapest tra dieci minuti!» gridò con voce stentorea l'addetto delle ferrovie, responsabile di quella carrozza.
Perutz immaginò come fossero contenti della notizia coloro che non avevano bisogno di scendere a Budapest e, proseguendo il viaggio, avrebbero gradito continuare a riposare: erano soltanto le sette di mattina.
Aveva dormito molto poco, ma almeno non era stato tempo sprecato: aveva potuto riesaminare tutti gli avvenimenti dall'inizio, e concentrarsi sugli aspetti più controversi dell'indagine.
Innanzi tutto, la scomparsa di Padre Jacob.
Tutti i particolari di cui era a conoscenza rendevano ancora più incomprensibile quanto era successo. Le celle, ricavate nel corpo centrale dell'antico edificio, non venivano mai chiuse, nè durante la notte nè in altri momenti della giornata; anzi, le chiavi della porta di ciascuna cella erano andate perse da tempo immemorabile. Eppure, la cella di Padre Jacob, il mattino seguente, era stata trovata vuota, ma chiusa a chiave: era stato necessario l'intervento di un fabbro, per forzare la porta e verificare l'assenza del religioso.
Sul pavimento di pietra era stata rinvenuta una macchia di sangue, e questo aveva fatto pensare al peggio. I successivi esami di laboratorio avevano stabilito che non si trattava del sangue dello scomparso, bensì di uno sconosciuto, di sesso maschile, presumibilmente giovane o, quantomeno, in buona salute.
Null'altro era stato trovato nella cella: per giorni i migliori tecnici della polizia scientifica di Praga avevano controllato il pavimento, i muri e le modeste suppellettili che componevano l'arredamento. Nessuna impronta che non appartenesse ai sacerdoti, nessun capello o altre tracce organiche.
Padre Jacob si era difeso, prima di soccombere al suo aggressore? Probabilmente, più di uno: era stato necessario portarlo via, percorrendo un lungo corridoio ed una stretta scala elicoidale che portava ad un ingresso secondario, non sorvegliato dal padre guardiano.
"Sempre che non abbia movimentato il suo turno di guardia e meditazione con qualche boccale di Pilsen" aveva pensato l'ispettore dopo averlo interrogato, il mattino seguente: aveva la classica corporatura del buon bevitore, ed il tenore delle sue risposte lasciava pensare a qualche colpevole leggerezza, ma non aveva voluto ammettere nulla.

Il treno rallentò visibilmente, ed entrò nella stazione di Budapest. Perutz era già pronto, e non attese che la carrozza si fermasse. Aprì lo sportello, scese i primi tre scalini, attese un paio di secondi che la velocità diminuisse ancora: non era più un ragazzino, e non voleva rischiare di rompersi una caviglia proprio in quelle circostanze, anche se poteva ancora dare dei punti a molte persone più giovani. Fece un salto, ed una breve corsa per scaricare l'energia cinetica residua, osservato dal ferroviere dalla voce stentorea, incredulo di fronte a tanta fretta di arrivare in città.
Era sceso per primo: velocemente si avviò in direzione dei respingenti di testa dei binari, percorse una trentina di metri, quindi attraversò con agilità i due binari alla sua sinistra e raggiunse la banchina adiacente. Si voltò, e vide la disapprovazione sul volto del ferroviere, che mai avrebbe immaginato di vedere un distinto signore comportarsi come il più imprudente dei ragazzotti. Vide anche, e questo era ciò che gli premeva controllare, che nessuno degli altri passeggeri sembrava interessato a lui. I primi a scendere stavano sciamando regolarmente lungo il marciapiedi, verso la stazione, e nessuno lo stava guardando nè sembrava intenzionato ad attraversare i binari.
Perutz attraversò un altro binario, raggiunse un treno che era appena arrivato, aprì la porta di una carrozza dal lato dei binari, salì e subito ne discese, dal lato giusto, mischiandosi agli altri passeggeri.
Era soddisfatto: quasi certamente nessuno lo aveva seguito, anche se non poteva esserne certo. Occorreva un'altra manovra di depistaggio: riflettè e decise per il Palazzo del Parlamento. Il simbolo della città, capolavoro dell'architettura neogotica, affacciato sul Danubio, era il posto giusto per confondersi tra le centinaia di turisti che ogni giorno lo visitavano. Sarebbe stato necessario, però, attendere un paio d'ore, affinchè i primi pullman iniziassero a scaricare i turisti più mattinieri. Perutz non aveva un paio d'ore da sprecare, ma la sicurezza della sua trasferta era ancora più importante della rapidità: non poteva permettersi di essere seguito dai membri dell'Ordine fino alla sua destinazione.
Raggiunse piazza Vörösmarty, e si sedette ad uno dei tavolini interni di Gerbeaud. Il locale era affollato già a quell'ora, soprattutto di impiegati che consumavano la prima colazione. Di lì a poco, sarebbero arrivati i turisti, ed avrebbero dato fondo alle riserve di birra, caffè ed alle torte per le quali il locale era famoso. Nei precedenti viaggi in Ungheria, Perutz non aveva potuto permettersi quel lusso, ma quella era un'occasione differente. Il locale era situato a poche fermate dal Parlamento, e la sua costante affluenza era una garanzia contro eventuali sorprese. Aveva trovato un tavolino vicino alla cassa, forse non la migliore posizione per consumare in pace la colazione, ma indubbiamente la più sicura.
Ordinò, e consumò con studiata lentezza. I clienti residenti stavano diminuendo, ed i turisti non erano ancora arrivati in massa: avrebbe potuto rimanere a sufficienza nel locale senza dare eccessivamente nell'occhio. Ordinò ancora qualcosa, e tra un ordine e l'altro riuscì addirittura a rilassarsi per qualche minuto.
Quando giudicò che fosse l'ora giusta, uscì dal locale e raggiunse la fermata della metropolitana che correva in superficie lungo il fiume, sulla sua sponda sinistra. Era Pest; al di là del fiume, con il Monte del Castello, c'era Buda. Poche fermate furono sufficienti per raggiungere la piazza del Parlamento. Scese e vide che i primi pullman erano arrivati. Si unì ad una comitiva di russi: in caso di necessità, avrebbe potuto addirittura farsi passare per uno di loro, anche se la sua conoscenza del russo non era più fluente come un tempo.
Entrò con loro, senza difficoltà e si mosse tra i lussuosi saloni. In seguito, si staccò dal gruppo e si inserì in un altro, controllando se qualcuno lo stava seguendo oppure osservando. Rassicurato, si unì ad un gruppo che stava uscendo e pochi minuti dopo si trovò nella piazza illuminata dal sole. Percorse poche centinaia di metri e raggiunse un parcheggio. Impiegò più del tempo necessario, perchè ad intervalli irregolari svoltava in una traversa e si fermava, in attesa di un eventuale inseguitore.
Arrivato al parcheggio, individuò con facilità l'auto. Era una Dacia Supernova in buone condizioni, con targa romena, e con un fazzoletto legato alla base dello specchietto retrovisore sinistro. Si chinò, recuperò le chiavi lasciate all'interno del cerchione anteriore sinistro, si mise al volante e riprese il viaggio. Una delle telefonate che aveva fatto da Praga aveva dato i suoi frutti: l'auto era intestata ad un privato cittadino romeno, e non poteva esservi alcuna segnalazione al riguardo.
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MessaggioInviato: 13 Feb 2006 00:04    Oggetto: Rispondi citando

Uscì dalla città, inserendosi nella tangenziale: imboccò l'autostrada che portava al lago Balaton. Ricordò di controllare che sul parabrezza dell'auto vi fosse il contrassegno dell'abbonamento all'autostrada: non era il caso di farsi fermare dai solerti colleghi della polizia stradale ungherese. Vide che il suo vecchio amico romeno, comandante del dipartimento della Poliţia Rutiera della Transilvania, aveva fatto un buon lavoro: "vignette" per l'autostrada, pieno di benzina e nel cruscotto un assortimento di carte stradali ungheresi e romene. Soprattutto, era riuscito a far portare l'auto a Budapest nelle poche ore che Perutz gli aveva dato: il tempo dei preparativi per il viaggio e del percorso Praga-Budapest in treno. Sorrise al pensiero di quell'uomo: magro e di bassa statura, non aveva l'aspetto di un rispettato comandante di polizia. Invece, era uno dei colleghi più efficienti e leali che Perutz avesse mai conosciuto: molti anni prima, in un'indagine congiunta, gli aveva addirittura salvato la vita, mettendo in pericolo la sua. Anche in quest'occasione era risultato prezioso: senza il suo aiuto, avrebbe dovuto attraversare tre Paesi utilizzando i mezzi pubblici, e sarebbe stato molto più facile per l'Ordine individuarlo.
Percorse una ventina di chilometri d'autostrada, quindi imboccò una delle prime uscite e, dopo un centinaio di metri, accostò sul ciglio della strada, parzialmente nascosto da un cartellone pubblicitario. Attese alcuni minuti, con il motore acceso e lo sguardo fisso sullo specchietto retrovisore. Per i primi due minuti nessun mezzo utilizzò l'uscita che aveva appena percorso. In seguito, lo raggiunse un vecchio autocarro che trasportava un trattore agricolo ed un'auto con un gruppo di ragazzi a bordo, che superò la Dacia senza rallentare, proseguendo lungo la statale. Gli eventuali inseguitori non gli avrebbero potuto dare un vantaggio superiore ai due minuti. Probabilmente avrebbero avuto un'auto più veloce della sua modesta Supernova: se avessero lasciato una maggiore distanza tra loro e l'inseguito, avrebbero potuto recuperare in pochi minuti. Ma ciò non eliminava la necessità di un contatto visivo: se lui avesse deciso di uscire dall'autostrada, gli inseguitori non se ne sarebbero accorti.
Tranquillizzato da quell'ennesimo controllo, decise che era giunto il momento di avviarsi verso la reale destinazione. Controllò una mappa stradale della zona, ed imboccò una strada provinciale poco frequentata che lo avrebbe portato ad intersecare la statale E60.
Un'ora più tardi svoltò a destra nella E60 che collegava, quasi disegnando una lunga linea retta, la capitale ungherese con quella romena. Non avrebbe dovuto, però, percorrere tutti gli 800 chilometri che lo separavano da Bucarest: arrivato in Transilvania, avrebbe deviato verso Est.

Ripensò a Padre Jacob: lo conosceva da quando, in gioventù, era stato suo studente. All'epoca, il religioso, profondo conoscitore delle lingue classiche, era solito dare ripetizioni di latino agli studenti liceali: un'attività che garantiva un reddito modesto ma indispensabile alla sopravvivenza del monastero. Molti anni dopo, le loro indagini personali sull'Ordine si erano incrociate: c'era stato un costante scambio di informazioni, e spesso Perutz si recava al monastero per avere la sua opinione. La differenza d'età, circa vent'anni, non aveva impedito che al rispetto verso il sacerdote si aggiungesse una sincera amicizia. Ma, nonostante tutto ciò, l'ispettore gli aveva taciuto alcuni essenziali particolari sulla sua vita e sulla sua famiglia.
Quando seppe della scomparsa di Padre Jacob, iniziò delle indagini ufficiose, senza neppure parlarne con Konrad Cŏster. Era letteralmente scomparso nel nulla, non aveva lasciato tracce oltre a quella macchia di sangue che, comunque, non aveva portato elementi. Il giorno seguente, una pattuglia di polizia impegnata nell'abituale controllo della riva della Moldava aveva sorpreso due clochard mentre stavano azzuffandosi per un vestito. Dopo averli separati, si erano accorti che l'oggetto del litigio non era un abito normale, bensì un saio da religioso. Pochi metri più in là c'era anche un paio di sandali. Uno dei due uomini dichiarò che l'abito era ben piegato ed appoggiato sulla massicciata di cemento che delimitava l'argine del fiume, e di fianco ad esso erano posate le scarpe. L'accurata analisi della polizia scientifica rilevò alcune tracce di sangue sull'abito, quasi impercettibili; si appurò che il sangue apparteneva a Padre Jacob. Gli elementi a disposizione della polizia portavano a due conclusioni contrastanti: il luogo del rinvenimento dei vestiti e l'ordine con cui erano stati riposti facevano pensare ad un suicidio nel fiume, le macchie di sangue a qualcosa avvenuto contro la sua volontà. Nessuno alla sezione omicidi e persone scomparse conosceva personalmente il religioso, quindi nessuno potè scartare a priori l'ipotesi del suicidio: si iniziò a controllare il fiume nei chilometri più a valle, ed a dragarlo per circa un chilometro, senza alcun risultato. Perutz sapeva che il suicidio era la spiegazione meno plausibile. Conosceva bene il carattere e la solidità morale di Padre Jacob, e gli aveva parlato il giorno precedente alla sua scomparsa: sapeva che eventuali difficoltà o minacce non lo avrebbero indotto ad una simile decisione. Inoltre, era a conoscenza delle pericolose indagini che svolgeva: quella era la spiegazione più probabile della sua scomparsa.
Dopo alcuni mesi di indagini, condotte con sempre meno interesse ed impiego di risorse, il caso venne trasferito alla sezione CZ. L'ispettore potè, a quel punto, utilizzare tutte le sue risorse in modo ufficiale, ed indirizzare le indagini là dove era la causa più probabile. Purtroppo, non riuscì a fare molto di più dei suoi colleghi: l'Ordine si mimetizzò nel sottobosco delle sette che popolavano le fantasie dei suoi concittadini, non eseguì alcuna operazione in quel periodo e non lasciò tracce della sua esistenza. L'unica persona che Perutz era riuscita ad identificare e contattare, un vecchio informatore del religioso, era stata trovata il giorno seguente nel fiume, privo di vita e completamente vestito. Nessuna messa in scena era stata preparata, ma non ve n'era bisogno: l'uomo era noto per le sue intemperanze alcoliche, e l'ipotesi più ragionevole fu che fosse caduto nell'acqua dopo una solenne sbronza. Il caso nemmeno arrivò nelle mani di Perutz: venne archiviato con quella sbrigativa ricostruzione.
L'ispettore trovò nello studio del sacerdote alcuni documenti, alcuni molto antichi, altri recenti e scritti da Padre Jacob. Sia gli uni che gli altri erano redatti in una lingua a lui sconosciuta: il religioso conosceva, oltre al latino ed al greco antico, anche l'aramaico, il sanscrito ed altre lingue morte. Perutz non aveva osato chiedere la consulenza di uno studioso estraneo a quella situazione, perchè non poteva immaginare la rilevanza delle informazioni che erano contenute. Inoltre, quegli scritti potevano riguardare altre sette cui Padre Jacob si stava interessando, e non l'Ordine.
Ad ogni modo, nei seguenti giorni qualcosa si sarebbe saputo: Perutz stava portando con sè quei documenti, e li avrebbe fatti esaminare da un altro religioso, confratello di Padre Jacob, che avrebbe incontrato nel monastero verso cui stava viaggiando.
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MessaggioInviato: 13 Feb 2006 00:50    Oggetto: Rispondi citando

Mentre l'aereo sorvolava le nuvole, Karl pensava che il gran maestro sarebbe stato soddisfatto del suo lavoro, magari chissà, l'avrebbe nominato siniscalco, che sogno realizzato: ?Siniscalco? la parola sembrava avesse il sapore del miele. Finalmente da lì a poco, l'Ordine della Rinascita, così si chiamava la setta a cui apparteneva, si sarebbe palesata al mondo in tutto il suo splendore, il sacrificio di tanti eroi morti per la causa nei secoli passati, sarebbe stato riconosciuto da tutti e tutti li avrebbero ringraziati per questa Rinascita dei valori, della gerarchia, del rigore e della rettitudine, tutti si sarebbero accorti che l'unica libertà possibile era quella di obbedire ai grandi capi, ai conduttori che avrebbero vegliato e vigilato perché il mondo non ricadesse nella barbarie in cui si trovava ora, tutte le ricchezze sarebbero state ben custodite e al sicuro nelle sedi dell'ordine, perchè è il denaro che corrompe e porta alla barbarie. I barbari sarebbero stati tutti eliminati, non c'è posto per chi disubbidisce o tradisce come questi due. Assorto in questi pensieri spostò lo sguardo dal finestrino ai due prigionieri.

?Ma siete tutti imbecilli?? ringhiò ai suoi uomini ?Ma vestitelo o volete che il maestro sia offeso dalla nudità di quel verme? così dicendo indicò Giacomo vestito solo di un paio di boxer, l'unico indumento indossato per dormire. Nella concitazione di salvare Giorgio, non si era certo preoccupato di vestirsi, quand'era militare, una parte del suo addestramento consisteva proprio in questo: depositato a chilometri dal punto di ricongiungimento, vestito dei soli boxer doveva trovare le risorse sia per sopravvivere che per tornare, anche andando oltre al blocco psicologico che prova un uomo nel trovarsi di fronte ad altri in mutande. La sua tranquillità per l'esiguo abbigliamento, il fatto che non desse a vedere di tremare per l'aria fredda della notte, aveva fatto sì che tutti, Karl compreso, lo considerassero un fatto naturale e nessuno si era preoccupato di farlo rivestire. Sotto la minaccia delle pistole, gli tolsero e manette e frugando nelle borse prelevate dal villino, gli dettero i suoi abiti perché l'indossasse, appena allacciata la cintura, il primo controllo che Giacomo fece fu quello di verificare che nella tasca destra dei pantaloni, ci fosse ancora il sacchettino di velluto blu contenente il fregio appartenuto ad Amedeo, il fratello di Giorgio. Nel sentire la morbida stoffa sotto le dita la tensione sembrò abbandonarlo, ora si sentiva pronto a scattare come una molla. ?Cosa fai, cane, controlli che non ti abbiamo sottratto i tuoi preziosi soldi?? domandò Karl sarcastico che non aveva potuto fare a meno di notare il movimento. ?No, è che l'interno della tasca non era ben disteso e mi dava fastidio? fu la risposta indifferente che non tradiva la crescente energia di cui si stava caricando, i suoi tendini sembravano corde di violino, pronte a suonare un'armonia di morte. ?Avrai ben altra preoccupazione che una tasca spiegazzata? con gli occhi stretti a fessura Karl ordinò: ?Riammanettatelo?, così fu fatto e Giacomo si risiedette sul sedile cercando di accumulare quell'energia che lo stava caricando, gli sarebbe servita al momento opportuno.

Appena dopo le luci dell'alba, l'aereo atterrò sulla pista di un aeroporto abbandonato, come il motore fu spento, da un capannone, una volta adibito a rimessa, uscirono due macchine nere, senza contrassegni, anonime, ma lussuose e potenti. I due furono fatti salire malamente sul sedile posteriore, uno per macchina, e guardati a vista, pistola spianata, da due uomini: uno a fianco e uno sul sedile anteriore ma girato in modo da non perdere di vista la preda, sembrava sapessero quanto i due uomini catturati potessero essere pericolosi, uno, Giacomo lo avevano visto all'opera e l'altro superava tutti in altezza di almeno trenta centimetri, essere molto guardinghi era il meno. Karl salì sulla terza macchina che era rimasta ferma e nascosta nel capannone, questa contrariamente alle altre, non era anonima, recava le insegne del corpo diplomatico.

Arrivarono in città davanti ad un monumento ottocentesco, le macchine però non si fermarono davanti all'ingresso principale, bensì svoltarono nel vicolo adiacente la fine del palazzo, qui si fermarono, i due furono fatti scendere ed entrare dalla porta secondaria di lamiera, che stava alla fine di una scaletta in cemento con un piccolo pianerottolo che obbligava a girare di novanta gradi per salire gli ultimi tre scalini.
All'interno dopo aver attraversato alcuni corridoi ricoperti interamente da folti tappeti, i due furono chiusi in una stanza arredata con mobili antichi e di valore. In tutto il tragitto non era stata pronunciata nemmeno una parola.
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MessaggioInviato: 13 Feb 2006 02:05    Oggetto: Rispondi citando

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La consegna di Jean Pierre prevedeva il recapito della missiva nelle mani del Vescovo, a capo della comunita' di preti residente presso la cattedrale, risalente al 12° secolo, della citta' di Saint Paul Trois Châteaux.
Questa simpatica cittadina si trova a 40 minuti a nord di Avignone sulla direttrice per Parigi. Prettamente ad economia agricola e' immersa tra i numerosissimi campi di lavanda che qui si coltiva intensamente.

Jean Pierre, dopo aver lasciato Luigi si dirige verso casa a La Ciotàt per organizzarsi per la breve trasferta. Quando arriva al suo campeggio trova la moglie Argie intenta a sostituirlo temporaneamente nella conduzione dell'attivita'. Tra di loro sono sufficenti gli sguardi per capirsi, e' un'intesa maturata dagli oltre trent'anni di vita in comune ed appena Argie lo vede, con uno sguardo rassegnato ma sereno gli chiede "devi andare vero?" "si" fu la risposta, "me lo sono immaginata quando ti ho visto partire di fretta", lui le rispose con un sorriso compiaciuto, "ti ho preparato una borsa con un cambio e qualcosa da mangiare", "staro' via poco" rispose lui "1 o 2 giorni", "non preoccuparti" rispose Argie "la stagione non e' ancora cominciata e da sola me la cavero' benissimo", Jean Pierre la bacio' amorevolmente, raccolse la borsa e si avvio' verso la sua fidata "deesse".

Lui non aveva raccontato tutto a sua moglie, si era limitato ad avvisarla che, forse un giorno senza preavviso, avrebbe dovuto compiere una missione della quale neanche lui conosceva i particolari ma che era della massima importanza. L'amore ed il rispetto che li legava, superava la necessita' da parte di Argie di conoscere i dettagli della missione.

Mentre guidava, pensava ai quasi 30 anni di servizio presso la Gendarmerie e 15 di questi passati alla sezione speciale, come istruttore. Ora era in pensione e con la liquidazione aveva rilevato il campeggio che gestiva con la moglie e qualche operaio stagionale. Il viaggio non era lungo, circa 200 km lo separavano dalla destinazione.

Superato Aix en Provence e sucessivamente Avignone, si stava avvicinando all'uscita di Bollène che gli avrebbe permesso di arrivare a Saint Paul Trois Châteaux e da un po' la sua attenzione era stata attirata da una BMW scura che sembrava seguirlo, qualche macchina indietro. A Jean Pierre sembrava strano che questa auto non lo sorpassasse, visto che lui, per non forzare il suo vecchio "gioiello" teneva un'andatura tranquilla. Il suo istinto gli suggeri' di stare all'erta e imboccata l'uscita di Bollène constato' che anche la BMW usci' dall'autostrada. Saint Paul Trois Châteaux distava circo 15 minuti da Bollène e Jean Pierre decise di attivare il "piano di riserva".

Arrivo' in citta' e si diresse subito verso la cattedrale. Quando arrivo' era meta' pomeriggio. Non perse tempo e mentre si apprestava a salire la gradinata della vecchia chiesa noto la BMW che proseguiva senza fermarsi. "Forse mi sono sbagliato" disse tra se "comunque meglio non rischiare". Varco' la soglia della chiesa ed entro'. Si tolse il basco, con il fregio ancora al suo posto, accenno' ad un Segno della Croce e si avvio' verso quello che sembrava essere un giovane prete.
"Salve padre, ho urgente bisogno di parlare con il Vescovo". Il giovane prelato, per qualche strano motivo, sentiva nel pronunciare quella frase, una particolare determinazione e rispose "chi devo annunciare?", "non importa chi sono, padre, gli faccia vedere questo" e mise nelle mani del prete il basco con in evidenza il fregio. Mentre questo si allontanava con mille interrogativi nella sua testa, Jean Pierre si inginocchio' nel banco li di fianco e si trovo' a pregare.

"Eccellenza, mi scusi, in chiesa c'e' un uomo che vuole parlarle e mi ha detto di farle vedere questo", il Vescovo alla vista del fregio non riusci' a contenere una smorfia di stupore ma si ricompose subito ed ordino' di far entrare l'uomo.
"Mi scusi" disse rivolto a Jean Pierre che era assorto, "Venga con me, il Vescovo l'aspetta".

Appena al cospetto del Vescovo, Jean Pierre lo saluto' come si saluta un amico ma con il distacco imposto dal ruolo dell'alto prelato. Il Vescovo Attese che il prete giovane uscisse dallo studio, poi riconsegno' il basco a Jean Pierre ed aggiunse: "allora ci siamo" "si" rispose Jean Pierre, "e penso di essere stato seguito, comunque il mio compito termina qui" disse allungando al Vescovo la busta da recapitare. "Stia attento padre, credo che la questione sia seria", "capisco la sua preoccupazione, faremo il possibile per la missione", "buona fortuna" disse Jean Pierre avviandosi verso la porta dello studio", "non esca dalla chiesa, venga di qua'" ed il Vescovo gli indico' una uscita laterale.
Senza aggiungere altro i due si lasciarono e Jean Pierre, aggirando la costruzione a lato della cattedrale, torno' verso la sua auto.

Appena Jean Pierre usci', il Vescovo si affretto' ad effettuare una telefonata interurbana. Il telefono era ancora di quelli neri con il compositore a disco, il prefisso era della Bretagna. Attese qualche squillo poi sembro' rispondere ma era la segreteria telefonica: "Geràrd Masson, non posso rispondere, lascite un messaggio dopo il segnale", a questo punto il prete pronuncio' "Non nobis Domine, non nobis, sed nomini Tuo da gloriam" e ripose la cornetta

Jean Pierre risali' in auto, mise in moto e riparti' ripercorrendo la strada da dove era arrivato. Della BMW nessuna traccia. Erano da poco passate le 16.30 quando, arrivato in prossimita' di Bollène, invece di
riprendere l'autostrada, prosegui' verso ovest seguendo le indicazioni per la "Val D'Ardèche". La sua nuova meta era a circa un'ora di strada.

"Se ne e' andato" disse uno dei due misteriosi occupanti della BMW scura che nel frattempo era stata parcheggiata in maniera che non si vedesse dal parcheggio della cattedrale, "Andiamo a prendere quello che e' nostro" rispose quello che sembrava avere maggiore autorita' dei due. Senza perdere tempo si spostano verso la cattedrale aggirandola e si fermano di fronte all'ingresso laterale. Entrano e appena scorgono il giovane prete che in precedenza aveva accompagnato Jean Pierre, gli si avvicinano ed il piu' giovane dei due, con una semplice mossa, piega all'indietro il braccio del prete e con l'altra mano gli fa vedere la sua "Makarov PM" semiautomatica, una 8 colpi di fabbricazione russa piuttosto compatta. "Portaci dal tuo superiore!" esplode in un stentato francese. Il braccio gli faceva male e la pistola lo terorizzava e come un automa accompagno' i due verso lo studio del Vescovo. Entrarono spalancando la porta in malo modo ed il Vescovo, che era seduto alla scrivania, non troppo sorpreso li squadro'. Era preoccupato per il giovane prete. "Che volete da noi?" "lei sa che cosa vogliamo" sempre in un francese stentatissimo e con l'accento dell'est Europeo, "e non abbiamo voglia di aspettare". Come fosse un ordine, il piu' giovane dei due storse ancora di piu' il braccio al giovane prete che urlo' di dolore e, non contento, con il calcio della pistola gli assesto' un colpo sulla mascella facendogli sputare del sangue.
Non aveva dubbi sulla determinazione dei due e fu a questo punto che il Vescovo si alzo' e si diresse verso la cassafortina a muro dietro la sua poltrona. Velocemente la apri', estrasse la busta appena ricevuta da Jean Pierre e la consegno' al piu' anziano dei due loschi figuri. Questo la prese, verifico' l'integrita' del sigillo di ceralacca e fece un cenno all'altro. Il piu' giovane, con un colpo bene assestato alla nuca del giovane prete lo tramorti' e lo lascio' cadere sul tappeto, poi si avvicino' alla scrivania e sfascio il vecchio telefono. Strappo' il filo e lo uso' per bloccare il Vescovo con le braccia all'indietro, sulla sua vecchia poltrona.

Uscirono velocemente dalla porta laterale e senza guardaandosi intorno salirono sulla BMW e ripartirono verso la strada del ritorno. Il "capo" guardava con soddisfazione la busta che aveva in mano e avrebbe dato qualsiasi cosa per conoscerne il contenuto ma la consegna era di recapitarla sigillata.
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MessaggioInviato: 14 Feb 2006 18:16    Oggetto: la collina..la casa..l'altalena Rispondi citando

..l'abbaiare di un cane..
..movimento ritmico e sussultorio..
..riaprì gli occhi e si rese conto di essersi assopita..
cercò di riordinare le idee, sperando almeno di non aver russato lungo il tragitto
mentre i suoi occhi cercavano di mettere a fuoco l'ambiente, sembrò che il cuore le si fermasse in petto
pensò di trovarsi nuovamente persa dentro un sogno, quel sogno in cui la nonna la reggeva sulle cosce e il nonno le carezzava le gote
non poteva cerederci
la malga
quella casa
quella vecchia casa in legno appoggiata sulla sommità della collina...
il vento fece muovere qualcosa alla sua destra...la vecchia altalena, il suo caro nocciolo e, poco più dietro, il recinto in cui si divertiva a gettare il mais a oche e galline
non poteva essere vero
non poteva essere realmente lì
doveva per forza trattarsi di un sogno
mentre pensava questo, con la respirazione in pausa "contemplativa", qualcosa le fece capire che non era un sogno, che era la realtà, l'attuale
Roska, quello strano cane rasta, correva verso la casa e poi tornava verso di loro, continuando in questa comica staffetta solitaria
man mano che si avvicinavano alla casa, a Marta sembrò più piccina di quanto si ricordasse, ma questo era naturale
all'epoca lei era poco più di una bimbetta di 5 anni, per cui anche la normale porta di una stanza era vista come il portone di un castello
il suo castello...
"ti senti bene? hai freddo? stai tremando"
era la voce di Ruben, che la strappò ai ricordi di giovinezza
"no no, sto bene grazie..è solo che.." Marta si interruppe
non sapeva ancora se la somiglianza fosse solo nei suoi occhi di ragazza lontana dalla monotona normalità di casa, oppure se quella fosse davvero la sua vecchia dimora di bambina "principessa"
"..è solo che ho sentito una fitta alla caviglia" mentì, abile come un ergastolano
"a..al..l..lora t..tranquilla, che ora s..s..siamo a ca..casa nostra e ci p..prenderemo cura della tua po..povera caaaviglia" le disse Rudolph con con quel suo difetto di pronuncia che lo faceva assomigliare ancor di più ad un bambino, oltre alla statura inverosimile

Ruben salì i tre gradini che portavano alla veranda e depose gentilmente Marta sul dondolo che stazionava fisso alla destra della porta d'ingresso
non era nè sudato nè ansimante, eppure dovevano aver percorso un bel po' di strada prima di arrivare a destinazione, altrimenti lei come avrebbe potuto assopirsi così profondamente?
questi due fratelli incuriosivano Marta, ancor di più ora che l'avevano portata a quella che loro chiamavano "casa", ma che ricordava in tutto e per tutto la SUA di casa, quella in cui aveva passato gli anni più belli e ingenui della sua vita
si erano pure comportati bene con lei, proprio nel momento in cui ne aveva più bisogno, e le sembrava che il rapporto fra loro non fosse nato quel giorno, ma che si conoscessero da tempo, un tempo lontano e magico, quasi un'altra vita..
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MessaggioInviato: 14 Feb 2006 23:40    Oggetto: Rispondi citando

La strada era lunga e monotona: Budapest dista dal confine con la Romania circa 250 chilometri, da percorrere tutti su una strada statale. Perutz attraversò un'infinità di paesini dalle tipiche casette monofamigliari e chilometriche distese pianeggianti: la Pannonia, granaio dell'Impero Romano un paio di millenni prima. Non era abituato a quelle immense distese pianeggianti che si confondevano con l'orizzonte: la sua regione era molto più varia, le colline si alternavano alla pianura ed alla montagna.
La strada era in buone condizioni, in certi punti anche dotata di una corsia centrale, ed avrebbe permesso, al di fuori dei centri abitati, di mantenere una velocità più alta dei 60 Km/ora ai quali l'ispettore faceva procedere la Dacia. I limiti di velocità in molti tratti erano stati mantenuti così bassi, e Perutz sapeva che quella trafficatissima arteria era controllata scrupolosamente dalla polizia stradale, che utilizzava pattuglie senza contrassegni ed era particolarmente severa con gli automezzi immatricolati all'estero. Non voleva lasciare tracce del suo passaggio: aveva predisposto tutto in quel senso, ma occorreva anche che nessuno lo fermasse per un'infrazione al codice della strada e la verbalizzasse. Sperare in una sorta di fratellanza con i colleghi ungheresi sarebbe stato ottimistico, e comunque avrebbe avuto difficoltà a spiegare perchè stesse guidando un'auto immatricolata in Romania.
Impiegò poco meno di quattro ore, fermandosi il minimo indispensabile: quando arrivò nei pressi del confine, erano già le 15. Avrebbe voluto presentarsi al controllo un paio d'ore prima, quando l'imminenza del cambio di turno avrebbe reso meno attenti i doganieri e la polizia di frontiera.
Vide i primi cartelli di avviso: il posto di controllo era prossimo. Quando mancavano ormai pochi chilometri, individuò il distributore di carburante, sul lato opposto della strada. Rallentò ed entrò nell'area di servizio. Non doveva aggiungere carburante: superò gli impianti di erogazione e parcheggiò davanti alla casetta che ospitava una caffetteria. Non ebbe bisogno di scendere ed entrare: dopo pochi secondi la porta del locale si aprì ed un uomo sulla trentina si affacciò sul piazzale. Perutz lo vide, e si spostò sul sedile del passeggero, senza scendere. L'uomo si avvicinò con calma studiata all'auto, dopo aver controllato che nessuno lo stesse osservando: alle finestre della caffetteria non c'era nessuno, il piazzale era deserto ed il benzinaio era occupato a rifornire l'unica auto ferma alle pompe.
«Non credevo di dover rimanere tanto nella caffetteria» disse, subito dopo essere salito in auto, al posto di guida «Temevo che la cameriera ed il padrone si incuriosissero, e magari chiamassero la polizia: ho dovuto dire che il benzinaio stava facendo una piccola riparazione alla mia auto. La cosa li ha divertiti: credo che come meccanico sia poco affidabile!» concluse con un sorriso.
«Mi dispiace di averla fatta aspettare, ma ho voluto rispettare i limiti di velocità imposti dai nostri cari colleghi ungheresi»
«Nessun problema da parte mia» si affrettò ad aggiungere l'uomo «ma la storiella che ho raccontato avrà vita breve. Uno di loro, parlando con il benzinaio, gli chiederà della riparazione e saprà che non c'era nessuna macchina guasta. Anzi, mi stupisco che non siano già andati a parlargliene: sono stato l'unico diversivo della mattinata»
«Non è grave: non conoscono nè lei nè me, e mi basta che non si insospettiscano fino a quando non avremo passato il confine.»
La telefonata che Perutz aveva fatto da Praga aveva dato all'ispettore ciò di cui aveva bisogno per attraversare il confine senza essere identificato e registrato nel sistema informatico del Ministero degli Interni ungherese.
L'uomo che in quel momento stava guidando l'auto era uno degli assistenti di Adrian Ionescu, comandante del dipartimento della Poliţia Rutiera della Transilvania e suo amico di vecchia data. Era stato accompagnato in auto fino alla stazione di servizio ed aveva atteso, secondo gli accordi, l'arrivo di una Dacia Supernova bianca. Aveva scelto un tavolino vicino ad una finestra ed ordinato il pranzo dal menù del giorno. Terminato il pasto, si era immerso nella lettura del giornale, fingendosi un'automobilista in attesa che venisse eseguita la riparazione, e controllando con attenzione la situazione ed i rari arrivi alla caffetteria. Aveva individuato l'auto appena era entrata nel piazzale del benzinaio.
I due uomini non si conoscevano di persona, ma ognuno aveva saputo dell'altro: il romeno era uno dei più efficienti tra i dipendenti di Ionescu, e Perutz era noto nell'ambiente, per alcune indagini svolte in passato con la polizia romena.
Nei pochi minuti che li separavano dal posto di controllo, Perutz fu informato della copertura che Ionescu aveva preparato per lui. Il giovane poliziotto aveva con sè una dichiarazione della Poliţia Rutiera, secondo la quale la persona che stava accompagnando era un turista romeno che era stato aggredito e rapinato a Budapest. Privato di tutti i bagagli, del denaro e dei documenti, aveva telefonato in patria per avere assistenza durante il ritorno. La motivazione di un simile trattamento di riguardo era molto semplice, ma immediatamente comprensibile sia per gli agenti ungheresi sia per quelli romeni: era parente di un importante funzionario, che aveva fatto valere il suo ruolo per ottenere una rapida assistenza. Ionescu aveva anche valutato che quella storia avrebbe messo in leggero imbarazzo gli agenti ungheresi, invogliandoli ad essere meno rigorosi, ed avrebbe fatto solidarizzare gli agenti romeni con il malcapitato, ottenendo lo stesso effetto.
Perutz apprezzò la semplicità e nello stesso tempo la raffinatezza psicologica della copertura ideata dall'amico, ed impiegò i pochi minuti restanti ad entrare nella parte del turista al quale la brutta disavventura aveva fatto accorciare le vacanze.
Tutto avvenne come era stato previsto: gli agenti dell'uno e dell'altro posto di controllo si mostrarono comprensivi, e non vollero importunare ulteriormente l'importante viaggiatore. In pratica, non dovette neppure parlare; comunque, non sarebbe stato un grosso problema, poichè Perutz aveva una buona conoscenza della lingua romena ed avrebbe potuto dire qualche frase senza svelare la sua vera nazionalità.
Oltrepassato il confine e la piccola cittadina di Borş, proseguirono in silenzio. Perutz non aveva nulla da dire, e l'altro non aveva nulla da chiedere. Sapeva che l'ispettore doveva svolgere un incarico molto delicato, per il quale era necessaria quella copertura; di più non era necessario.
In poco tempo arrivarono ad Oràdea, la prima grossa città dopo il confine. Perutz vide per l'ennesima volta la vecchia zona industriale, ormai un cimitero di stabilimenti non più in attività, ed i brutti quartieri periferici, densi di palazzoni anonimi, figli dello stile architettonico sovietico di trent'anni prima. Oràdea, nel centro storico, era una bella città, ma non sarebbe stata quella l'occasione per visitarla.
L'uomo alla guida raggiunse un ampio viale alberato, lo percorse fino ad arrivare ad una piazza molto trafficata. Accostò, fermò l'auto senza spegnere il motore e sorrise a Perutz: il suo compito era terminato. Si salutarono con una stretta di mano, l'uomo scese ed attese che l'ispettore, spostatosi sul sedile del guidatore, si fosse reinserito nel traffico. Solo a quel punto, percorse una decina di metri e raggiunse un'altra Dacia parcheggiata: era stata lasciata lì dal collega che lo aveva accompagnato fino alla stazione di servizio al di là del confine, e che era tornato a Cluj con i mezzi pubblici.
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GrayWolf
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MessaggioInviato: 15 Feb 2006 00:09    Oggetto: Rispondi citando

Quando la porta si fu chiusa alle loro spalle, Giorgio, rimasto impassibile, senza reazioni dal momento della loro cattura si sedette con calma su uno dei divani che arredavano la stanza, l'antico mobile, con la fodera di velluto bordeaux che ne denunciava l'età, emise un sinistro scricchiolio, il gemito per dover sopportare un peso simile. Al rumore, Giacomo indicando il divano commentò: ?Anche lui si lamenta per la nostra situazione? ?No, sono troppo pesante? rispose Giorgio serafico, ?Questa vecchia mobilia, anche se robusta, non ha mai avuto a che fare con ospiti del mio peso?.
?Ma come fai ad essere così calmo?? sbottò Giacomo, ?Ci mancano dieci giorni? anche se non sapeva cosa sarebbe successo da li a quella fatidica scadenza, ?E tu ti siedi tranquillo come fossi in attesa che qualcuno ci porti il the, ma lo capisci o no che questi bastardi ci faranno la fine dei topi??
Giorgio lo guardò con occhi limpidi: ?Ho fiducia, piuttosto tu, smettila di saltellare e di camminare avanti e indietro, sembra che abbia ingoiato delle molle?. In effetti Giacomo, mentre parlava aveva già esplorato tutta la stanza, stava cercando qualcosa che gli permettesse di liberarsi e di liberare l'amico, le finestre erano chiuse ed oscurate da persiane di legno pieno, molto contrastanti con l'architettura del palazzo in cui erano stati fatti entrare, questo particolare gli fece pensare che si trovavano in un'area dismessa del palazzo, adibita a qualcosa di diverso da quello che l'edificio rappresentava per i normali inquilini. Non poteva sapere di aver colto nel segno, la costruzione era infatti Il Palazzo Karoly, situato in Pest, la parte pianeggiante della città, attualmente ospitava il Museo di Storia: cosa niente di meglio di un museo con questa specializzazione, poteva spiegare i testi antichi, le ricerche storiche e il deposito delle memorie che l'Ordine della Rinascita aveva effettuato nei secoli, pazientemente e meticolosamente raccolte tali memorie, avevano come unico scopo il trionfo dell'Ordine. La parte in cui si trovavano era quella che stava dietro agli uffici destinati ai ricercatori, frequentati solo dagli addetti e chiusa al pubblico, nessuno, poteva sapere che si trovavano lì.

?Non ti sembra il caso di spiegarmi qualcosa, oramai faccio parte di questo gioco in cui rischio di perdere la vita, ma ti assicuro che la mia pelle ha un prezzo salato e qualcuno lo pagherà? la tensione e la rabbia gonfiavano le vene del collo e i bicipiti del ragazzo, la maglietta a maniche lunghe che indossava, aveva delle grinze minacciose nella parte alta del braccio, quelle grinze facevano percepire che, in un modo o nell'altro avrebbe tenuto fede alla dichiarazione appena fatta.
?Poi... fiducia in che, in cosa?? ?Nessuno sa che siamo qui, nessuno, hai capito nessuno! Ah, siamo stati proprio bravi a far perdere le nostre tracce, abbiamo fatto il gioco di questi, di questi...? non sapeva trovare un epiteto coerente per definire i loro rapitori. Lo sguardo di Giorgio fu estremamente eloquente, Giacomo capì che erano osservati ed ascoltati, iniziò a guardarsi in giro per individuare telecamera e microfoni, ma s'interruppe subito ad un altro sguardo di Giorgio che rispose con tranquillità: ?Ho fiducia!?

Le ore passavano inesorabili e Giacomo contava a ritroso il tempo che mancava alla scadenza, l'orologio, unico ricordo che aveva tenuto dei suoi trascorsi militari, gli ricordava spietatamente che era passata un'altra ora, un'ora in meno da impiegare per agire, l'inazione e l'inattività lo facevano imbestialire. Dopo quattro ore sentirono toccare la maniglia della porta, il ragazzo si mise in posizione come una tigre che sta per attaccare, un altro sguardo imperioso di Giorgio lo fece desistere. La porta si aprì ed entrano tre degli individui che li avevano condotti lì, due armati di pistola con silenziatore e uno che reggeva due vassoi, i due con la pistola fecero cenno a Giacomo di appoggiarsi alla parete più lontana mentre questi eseguiva, il terzo girando bene al largo da Giorgio, depositò i vassoi sul tavolo, finalmente uno dei tre parlò: ?Il gran maestro è stato trattenuto da impegni più importanti che non vedere voi due, quando sarà comodo verrà, solo per mettervi al corrente di quale sarà la vostra miserabile sorte? lo disse con un accento che indicava chiaramente le sue origini balcaniche.?Sai cosa gli faccio al tuo maestro del ....? disse Giacomo digrignando i denti? l'altro lo interruppe altrettanto rabbiosamente: ?Mangia, potrebbe essere il tuo ultimo pasto, fosse stato per me non avresti avuto nemmeno questo, la Regola vuole che si dia da mangiare anche ai cani come te? pronunciando la parola ?Regola? il sicario fece un gesto strano: la mano libera dalla pistola si strinse a pugno e velocemente toccò il torace in corrispondenza del cuore, il centro della fronte e infine aprendosi andò a coprire la bocca. Giacomo con gli occhi in cui si potevano vedere i lampi di rabbia esclamò: ?Ma come facciamo a mangiare?? alzando i polsi per mostrare le manette e indicando Giorgio seduto, anche lui con i polsi e il collo imprigionati.
?I cani mangiano anche legati? fu la secca risposta, ciò detto i tre uscirono, quello che aveva portato i vassoi normalmente, voltando le spalle ai due prigionieri, gli altri due armati, a ritroso, tenendo sotto mira i due malcapitati finché la porta non fu chiusa di nuovo a chiave.
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MessaggioInviato: 15 Feb 2006 01:37    Oggetto: Rispondi citando

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Jean Pierre guidava con soddisfazione ad andatura turistica verso la sua nuova destinazione. la Val D'Ardèche e' uno splendido canyon con pareti verticali famoso per per poter praticare tutti gli sport torrentizi, canoa, rafting, kayak ecc., la strada si snodava a lato del fiume, praticamente adagiata nel fondo del canyon. Le alte pareti proiettavano un'ombra nella valle riducendo notevolmente la luminosita', nonostante il sole fosse ancora alto.
Ancora una mezz'ora e sarebbe arrivato presso l'Aven D'Orgnac, la sua meta. Come dice la parola si tratta di un antro, di un insieme di spettacolari grotte in parte aperte al pubblico ed attrezzate con passerelle e scale per i turisti. Ogni mezz'ora parte un giro guidato alla scoperta di questi spettacoli della natura.

Jean Pierre le conosceva, aveva portato Argie qualche anno prima in occasione di una gita organizzata dalla locale sezione della Gendarmerie. Lo scopo ufficiale del viaggio di quel tempo era fare in modo che le famiglie dei poliziotti socializassero tra loro.
Guidava attento e con un occhio allo specchietto retrovisore, ma della BMW o altro non c'era traccia. Si chiedeva se aveva fatto bene ad attivare il piano di riserva, ma concluse che la prudenza avrebbe pagato.

E' arrivato in tempo per scendere con il giro guidato delle 18,00, ce ne sarebbe stato solo un'altro alle 18.30 poi le grotte sarebbero state chiuse fino a domani. Acquistato il biglietto si avvio' verso l'ingresso e si mantenne in fondo al gruppo in attesa della guida per l'inizio del giro. Oltrepassato l'ingresso una lunghissima e stretta scalinata scendeva lungo un cunicolo che sembrava non finire. Subito la temperatura scese costringendo i visitatori ad indossare e chiudere giacche e giubbotti. Al termine del cunicolo lo spettacolo che si para davanti e' indescrivibile. immense e spettacolari stanze abbellite da concrezioni di tutti i tipi.
Mantenendosi in fondo al gruppo e rallenatando volutamente la propria andatura, Jean Pierre riusci' a staccarsi dagli altri e a rimanere isolato. Non visto, scavalco' la transenna che separa il percorso aperto al pubblico dal resto, e si avvio' verso una zona delle grotte aperta solo ai ricercatori.
Tutta la grotta era illuminata artificialmente e i passaggi erano attrezzati con passerelle. Si infilo' in una stretta fessura sulla sinistra di quello che poteva sembrare il sentiero principale e raggiunse una piccola stanza sicuramente modificata dall'intervento umano. qui dovette aiutarsi con la propria torcia tascabile perche' non c'era illuminazione. Di pianta pressoche' rotonda di circa 5 metri di diametro e 2,5 di altezza, con il buio sembrava incombere sull'inaspettato ospite. Il muro di roccia ospitava 13 nicchie, vuote, e al centro della stanza c'era quello che poteva sembrare un tavolo ellittico con l'asse maggiore disposto in modo da unire idealmente l'apertura dell'ingresso e la settima nicchia, quella centrale.
Jean Pierre si avvicino' a questa e infilando la mano riusci' a spostarne la lastra che ne occultava il doppio fondo, vi infilo' la busta, protetta a sua volta dall'umidita' da un'altra di plastica. Rmise al suo posto la lastrina di roccia che ad un controllo normale sembrava il fondo naturale della nicchia, vuota come tutte le altre 12. Ritorno' sui propri passi, spense la torcetta e ritorno' sul sentiero principale verificando che non ci fosse nessuno in giro. Sorrise al pensiero della gita di qualche anno prima e al ricordo del suo maestro di arti marziali che, nello stesso modo di oggi, gli "insegnoò" la "Sua Missione". Prima di ritornare sul percorso principale attese nascosto che l'ultimo gruppo sfilasse e appena solo, scavalco' la transenna e a passo veloce si riuni' al gruppo in visita.
Usci' verso le 19.30 e dopo essere andato in auto a prendere la sacca preparatagli dalla moglie si diresse verso il lodge li vicino che disponeva di camere in affitto. Avrebbe passato la notte sul posto e sarebbe rientrato il mattino sucessivo. Prese una doppia con prima colazione compresa e si avvio' in camera. Avrebbe cenato in camera con quello che la sua amata Argie gli aveva preparato. Dal frigobar prese una bottiglietta di Perrier e una da un quarto di vino Bordeax, accese la tv e soddisfatto si gusto' il telegiornale nazionale e la sua cena. La "Sua Missione" era esaurita.

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MessaggioInviato: 16 Feb 2006 18:42    Oggetto: Rispondi citando

«Questi maledetti afidi» pensava Jorge mentre esaminava le sue rose. Stava allungando la mano per prendere il nebulizzatore con il sapone di Marsiglia, quando il telefono iniziò a squillare. Troppo arrabbiato con gli insetti urlò «Qualcuno risponda !» il telefono continuò imperterrito a lanciare il suo richiamo. Si ricordò che la moglie e la figlia erano andate in città per spese.
Di malavoglia si avviò, entrato in casa prese il ricevitore e scorbuticamente rispose: «Pronto!!» dall'altra parte del filo una voce con l'accento marcatamente italiano pronunciò:

.....................«Non nobis Domine, non nobis, sed nomini Tuo da gloriam»

il suono successivo fu l'inequivocabile segnale di chiusura comunicazione.

Jorghe sentì un pizzicorino alla nuca, guardò la cornetta come se fosse un oggetto che vedeva la prima volta, gli occhi divennero lucidi di eccitazione ed esclamò: «Finalmente!!» sì, finalmente era arrivato il momento, aveva atteso per anni quella telefonata, l'avevano preparato fin da bambino a quel momento, là nella sua terra natia, l'Euskadi, el País Vasco. La pelle colore del cuoio vecchio, asciutto e muscoloso, occhi neri e vivaci che gli avevano procurato parecchie avventure galanti, aveva i tratti tipici del suo paese, il temperamento combattivo tipico del suo popolo. Da adulto, a causa della sua appartenenza a un'organizzazione politica e della sua capacità di costruire ordigni esplosivi, aveva dovuto seguire la via dell'esilio, si era trasferito in Moldavia, paese che tutt'ora lo ospitava e dove incontrando Katrina, aveva deciso di stabilirsi e metter su famiglia. Salì le scale per recarsi al piano di sopra, nello sgabuzzino. Un vecchio baule di legno e cuoio appoggiato al pavimento, lo guardava invitante, l'apertura del coperchio, rivelò tutte le cose da sempre proibite e tenute celate alla morbosa curiosità di quel folletto che era sua figlia. Prese un contenitore di metallo e l'aprì per controllarne il contenuto, una boccetta di vetro grande come quelle che contengono collirio, faceva bella mostra di sé al centro dell'imbottitura di gomma piuma, era di vetro spesso e trasparente contenente un liquido che sembrava acqua. Utilizzando l'apposito gancio che la scatola presentava nella parte posteriore, se l'appese alla cintura; nella tasca posteriore dei pantaloni finì una navaja di Albacete, antica, con il manico di corno e una lama di venticinque centimetri, affilatissima. Da ultimo, quasi con reverenza, da un cofanetto in miniatura, di quelli in velluto che si usano per gli anelli, estrasse un fregio d'argento raffigurante cinque lettere. Lo accarezzò con affetto, era arrivata l'ora di usarlo, gli avevano detto che avrebbe potuto vivere tutta la vita senza la possibilità di indossarlo e invece... la telefonata era arrivata proprio a lui e lui era pronto a dare il suo contributo.
Indossò una sahariana di lana pesante, atta a nascondere ciò che recava appeso alla cintura e l'oggetto che gli deformava la tasca posteriore dei pantaloni, scese in giardino, girò dietro la casa, inforcò la sua bicicletta e si avviò verso l'aeroporto di Chisinau: uno sfaccendato come tanti che si divertiva a guardare gli aerei e a scroccare qualche soldo ai turisti, portando loro i bagagli e sfidando l'ira dei portantini autorizzati; questo sarebbe dovuto sembrare e questo sarebbe sembrato, con quella carnagione così scura e quell'accento che nonostante tutto non aveva mai perso; avrebbe importunato un solo turista, chi esibiva un fregio come il suo, in bella mostra di se sul colletto della camicia, le cui punte «distrattamente» coprivano il bavero della giacca.


Il ronzio costante dei motori cullò Roberto che si assopì per breve tempo, il transitare della hostess lo svegliò e iniziò ad aprire gli occhi, prima di spalancarli, quand'erano ancora due fessure, qualcosa gl'impedì di completare il gesto, la visuale che gli permettevano le palpebre semichiuse, gli restituì il volto di un uomo che, seduto due sedili più avanti, nella poltrona dal lato opposto del corridoio, girato per metà all'indietro lo stava fissando intensamente, sapeva che quell'uomo era salito alla Malpensa perché alla partenza il posto era vuoto. Campanelli di allarme iniziarono a suonare nella sua testa di Roberto. Sapeva che la sua missione era importante, sapeva che avrebbe corso dei pericoli, gli avevano detto di non fidarsi di nessuno, ora l'atteggiamento di quello straniero stava concretizzando quello che lui aveva sempre ritenuto solo teoria, utilizzata dai suoi istruttori per mantenere viva la sua attenzione. Si pentì di non aver dato loro ascolto quando gli ripetevano fino alla nausea: «Fatti sempre un piano di riserva, pensa sempre a una alternativa, le porte aperte devono essere sempre due» lui no, cocciuto, aveva sempre preso sottogamba quelle esortazioni, era partito senza preordinarsi niente, entusiasta di fare quello che riteneva un privilegio, senza nemmeno pensare a possibili alternative che gli permettessero di concludere la sua missione.
«Calma» si disse «Non farti prendere dal panico, ricorda cosa diceva il tuo ultimo maestro» un sorriso mentale fu rivolto a quell'uomo che aveva tanto stimato e che soleva dirgli: «Fra tutti quelli a cui ho insegnato, tu sei il più scapestrato, il più ribelle, il più indisciplinato, il più irriverente eppure in te c'è qualcosa di speciale, sei in grado di spiazzare tutti con le tue improvvisazioni, con i tuoi colpi di testa da incosciente; coltiva questa dote ragazzo mio, falla tua, fai che sia l'arma vincente, tu sei capace di fare cose che gli altri non ritengono logiche, cose che non si aspettano tu faccia»
Sempre tenendo gli occhi semichiusi e controllando quello che oramai aveva individuato come un nemico, iniziò ad elaborare piano dopo piano scartandoli uno dopo l'altro perché poco appropriati o impossibili da realizzare, fino a quando la soluzione gli apparse chiara, semplice, quasi fosse scritta e lui dovesse soltanto seguire il copione. L'altoparlante annunciò il prossimo arrivo a Budapest e che i passeggeri potevano approfittare di un'ora di sosta, potevano scendere dall'aereo purché non oltrepassassero la linea della zona franca nel terminal. Si sarebbero potuti rinfrancare nel bar prospiciente la pista di atterraggio e che era al di qua della dogana. Appena l'aereo si fermò, svelto si sganciò la cintura e si presentò per primo alla hostess che doveva aprire il portello. La sua mossa così veloce aveva sorpreso l'altro che ebbe un momento di esitazione, ciò permise che altri si frapponessero fra lui e Roberto. Allegramente scese la scaletta, in apparenza svagato e distratto in realtà concentrato e deciso a individuare il suo obiettivo, quando lo vide si avviò in quella direzione. Un poliziotto stava controllando che i passeggeri scesi dall'aereo rispettassero le regole di non oltrepassare la linea di frontiera, Roberto con il naso all'aria per contemplare alle strutture dell'aeroporto, gli rovinò addosso trascinandolo per terra. L'altro stupito e un po' seccato per l'incidente, si rialzò e per dovere professionale fece per aiutare il ragazzo a rialzarsi, Roberto invece reagì in un modo assurdo, iniziò a spintonare l'uomo in divisa elargendo a tutto il pubblico frasi e oscenità nel dialetto più stretto e incomprensibile agli astanti. Dopo un primo momento di stupore l'uomo reagì violentemente bloccando Roberto e nel contempo soffiando nel fischietto per chiamare rinforzi, Roberto apparentemente sopraffatto dal poliziotto, si lasciò inchiodare per terra dal ginocchio dell'altro mentre altri due uomini in divisa stavano arrivando di corsa. Nel giro di pochi secondi fu ammanettato sollevato e portato via, mentre si girava tenuto per le braccia dai due poliziotti, non potè reprimere un sorriso, aveva visto la faccia dell'uomo che era sull'aereo e che sceso anche lui, aveva assistito impotente alla scena. La sua faccia era una smorfia in cui si leggevano stupore, rabbia e frustrazione. Mentre veniva fatto salire sulla macchina della polizia, Roberto concesse che il sorriso diventasse una risata, i poliziotti si guardarono e uno fece un gesto ruotando l'indice vicino alla tempia, segno internazionale che sott'intende: «Questo è matto».
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MessaggioInviato: 17 Feb 2006 01:15    Oggetto: Rispondi citando

Perutz non perse tempo: non ne aveva molto, e ne aveva dovuto impiegare troppo per garantirsi di non essere seguito e di poter entrare in Romania senza lasciare tracce.
Se le sue precauzioni erano state sufficienti, l'Ordine era soltanto a conoscenza del suo viaggio a Budapest; da lì in poi, era entrato in una sorta di clandestinità.
Qualche traccia era stata lasciata: lo strano comportamento alla caffetteria prima del confine, ed anche la copertura del turista rapinato. Ionescu aveva fatto del suo meglio, con il poco tempo a disposizione, ma sarebbe stato preferibile passare inosservati, piuttosto che mettersi in evidenza con una storia così particolare. Nell'immediatezza aveva funzionato egregiamente: gli agenti di entrambe le nazionalità lo avevano agevolato semplificando le formalità. Ma un funzionario un po' più solerte della media, o semplicemente più curioso, con una telefonata avrebbe saputo che nella giornata precedente e in quella stessa mattina nessun turista romeno con le sue caratteristiche fisiche aveva presentato denuncia di aggressione a Budapest. La sua speranza era che nessuno del personale in servizio quel giorno al confine fosse così intraprendente. D'altra parte, non aveva modo di trovare conferma, in un senso o nell'altro.
Qualcosa poteva fare: rendere non più aggiornate le informazioni eventualmente in possesso dell'Ordine. La prima cosa era sostituire l'auto, ormai segnalata al posto di confine, con una "pulita". Si rimproverò di non averci pensato in precedenza e non averlo chiesto a Ionescu. Per lui sarebbe stato facile fargli trovare un'auto qualche chilometro dopo Oràdea, in modo che nessun altro, neppure chi lo aveva aiutato a superare il confine, ne fosse a conoscenza.
Forse non era troppo tardi per organizzarsi. Se fosse riuscito a raggiungere telefonicamente il suo amico, costui avrebbe avuto il tempo di fargli trovare un'auto a Cluj.

Mentre la Dacia iniziava ad affrontare i primi tornanti del Muntele Şes, Perutz mise a punto il nuovo piano. Il suo programma originario prevedeva comunque di passare per Cluj: non era l'itinerario con la distanza più breve, ma era l'unico che conosceva, avendolo già fatto in precedenza. Inoltre, i suoi viaggi in Romania gli avevano insegnato che i percorsi sulle strade principali, anche se notevolmente più lunghi, si rivelavano quasi sempre più rapidi. Le condizioni delle strade secondarie erano un'incognita: potevano essere decenti, oppure costringere per chilometri a procedere in prima e seconda marcia. Sapeva già che più avanti avrebbe trovato strade in quelle condizioni: non aveva nessuna intenzione di cercarne altre.
I tornanti si susseguirono, e l'altitudine aumentò rapidamente: stava entrando nella Transilvania, un ampio altipiano, fertile e ricco. Nei secoli precedenti coperto di boschi, ora in parte trasformati in terreni agricoli, e popolato da lupi ed orsi, ora quasi scomparsi. Uno straniero avrebbe potuto farsi un'idea di com'era quella terra nel passato soltanto dopo aver superato Dej e raggiunto i Carpazi: foreste di conifere, natura selvaggia, lupi ed orsi davano ancora l'impressione di trovarsi in un altro secolo.
La Transilvania doveva la sua fama ad un personaggio reale, che in seguito era stato quasi mitizzato, ed a un romanzo famoso.
Il primo fu Vlad Ţepeş: principe vissuto al tempo delle invasioni turche, per anni le contrastò combattendo e meritandosi, per le sue abitudini nei confronti dei vinti, il soprannome de "l'impalatore".
Il secondo fu "Dracula" scritto dall'inglese Bram Stoker, che mescolò qualche spunto storico tratto dalle gesta di Vlad Ţepeş, tradizioni popolari e molta fantasia ottenendo verso la fine dell'Ottocento un best seller.

In un paese Perutz individuò una cabina pubblica; accostò, scese dall'auto e si avvicinò al telefono. Buon organizzatore, non aveva tralasciato di portare con sè valuta e schede telefoniche dei Paesi che avrebbe percorso.
«Ciao Adrian» disse «Non sono lontano da Cluj. Il tuo uomo è stato molto efficiente, e tu hai avuto una bella fantasia! Ti ringrazio, senza di te sarei stato in difficoltà»
«Figurati, non lo dire nemmeno» rispose l'altra voce «sono contento di esserti stato utile. Un giorno, se potrai, mi racconterai.»
«Si, spero di poterlo fare.» "Se sarò ancora vivo" riflettè, pensando a Padre Jacob ed al suo informatore. «Ho ancora una cosa da chiederti»
«Avanti, dimmi»
«Hai a disposizione un'altra macchina da darmi? Vorrei cambiarla con questa appena arriverò a Cluj»
«Non ti piace il modello?» scherzò l'amico «Oppure ti manca l'aria condizionata?»
«No, hai fatto un'ottima scelta» stette al gioco «ma ho pensato che qualche traccia io ed il tuo assistente l'abbiamo lasciata. Sarebbe più sicuro cambiare macchina finchè mi trovo ancora sulla strada per Bucarest, in modo che non possano intuire la mia destinazione»
«Già, se è per questo non la so neppure io. O meglio, adesso so che non hai intenzione di andare nella capitale. Va bene, ne cercherò una. Naturalmente, non posso darti una macchina di servizio, perchè sarebbe rintracciabile. Quella che stai guidando è di mio fratello; posso darti quella di mia figlia, ma ti garantisco che non è migliore dell'altra!» concluse ridendo. Ionescu trovava sempre un aspetto gradevole in qualunque cosa, e riusciva a scherzare su tutto. Era anche un buongustaio ed un buon bevitore, e più volte avevano condiviso gli ottimi vini del delta del Danubio o la fortissima Zuica, un'acquavite di mele e prugne. Anche in quell'occasione aveva trovato il modo di scherzare, non conoscendo i dettagli del caso e la sua pericolosità. Era, comunque, sempre molto efficiente e sapeva trovare una soluzione anche con le limitate risorse di cui disponeva.
«Andrà benissimo, grazie. Dove la potrò trovare?»
«Te la lascerò nel parcheggio davanti alla chiesa di San Michele, sulla piazza. Ricordi qual'è?»
«Si, certamente. Per le chiavi, stessa procedura?»
«Stessa procedura»
«Bene, grazie di tutto, ed a buon rendere. Lascerò l'auto di tuo fratello al posto di quella nuova»
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MessaggioInviato: 19 Feb 2006 17:43    Oggetto: Rispondi citando

Dopo il primo squillo del telefono Auguste Rondel, sovrintendente del museo di Storia a Budapest, sollevò il ricevitore, quella telefonata era importante, era rimasto sveglio nel suo ufficio tutta la notte ad aspettarla. Doveva essere la conferma definitiva dell'ascesa al potere della «sua» organizzazione, setta qualcuno la chiamava, a lui quelle parole non piacevano, non rappresentavano pienamente ciò che in secoli era stato costruito, la vera essenza era nel nome di quella grande famiglia alla quale tutti gli appartenenti, lui in testa, erano orgogliosi di appartenere, un nome che dava speranza: «L'Ordine della Rinascita».
«Pronto» con la voce sicura di chi sa già quale sia la notizia che viene comunicata «La votazione si è svolta regolarmente, Il nostro fratello è il presidente dell'Unione?» la risposta che ricevette lo sconcertò e fece crollare le sue certezze: «Ehmm Maestro, non proprio...» «Che significa non proprio?» la sua voce divenuta tagliente aggredì l'interlocutore non tradendo la sensazione di delusione e di avere i piedi sulle sabbie mobili «L'elezione è stata sospesa, sembra che alcuni documenti manchino e alcuni membri non hanno voluto votare, si sono opposti chiedendo che i documenti non presentati fossero trovati, minacciando di invalidare la votazione e di rimandarla di un anno» la delusione stava progressivamente trasformandosi in rabbia «Questo era scritto ma i calcoli erano errati, rifacendoli abbiamo visto che doveva accadere oggi!» l'esclamazione fu quasi un latrato. Contemporaneamente il suo cervello iniziò a enumerare tutti gli eventi concomitanti all'annuncio di quella elezione così importante, parecchi presidenti di banche di compagnie aeree e di grosse industrie stavano aspettando il risultato, per dichiarare il loro appoggio indiscriminato all'uomo che ora presidente dell'unione, questo era scritto, con quell'appoggio in poco tempo, avrebbe rovesciato gli equilibri politici ed economici mondiali. Tutti i fratelli le cui famiglie per secoli avevano conquistato passo a passo potere economico e politico, erano pronti a consegnare all'Ordine e a lui il mondo. «Siete degli incapaci!» urlò a pieni polmoni non interessandosi minimamente al fatto che qualcuno potesse sentirlo, era troppo presto e nel museo non c'era ancora nessuno, «No Maestro, è stata la fretta, abbiamo dovuto fare troppe cose, abbiamo accelerato troppo i tempi e poi lo sapete, c'è chi ci ostacola...» «Già, quei bastardi, Le Aquile per la Libertà» con un moto di rabbia dette una manata al ripiano della scrivania ammutolendo chi stava dall'altra parte dell'apparecchio «Per secoli hanno raccolto le prove della nostra esistenza, le prove delle azioni compiute per permetterci di ristabile le giuste proporzioni in questo mondo oramai di barbari» «Ecco, si è proprio così» disse l'altro esitante ma con sollievo che l'ira di Auguste non fosse pienamente rivolta a lui «Ma non è solo la faccenda di questi documenti burocratici e che si possono anche falsificare, come sapete non siamo ancora in possesso dei riferimenti per trovare gli altri documenti» una particolare enfasi e piena di sottintesi venne attribuita alla parola «altri».
«Sappiamo che si sono mossi in fretta e da diverse parti, i nostri informatori e agenti stanno già attuando le contromosse per bloccarli ed eliminarli come vuole la Regola» l'attimo di silenzio che seguì era dovuto all'atto di rispetto che i due compirono alla pronuncia di quella che per loro era una parola sacra, la Parola. «Ah bene, giustappunto Karl mi ha comunicato questa notte di aver catturato due di quei cani e che li sta portando qui» ora una nuova certezza si stava facendo di nuovo strada nella mente di Auguste «E... per quanto tempo è stata sospesa la votazione?» «Avverrà fra dieci giorni a partire da oggi questo è il tempo che ci hanno concesso per produrre i documenti mancanti, ci vorrà molto meno a creane delle copie che sembrino vere, con i mezzi che abbiamo, ma dobbiamo comunque rispettare la scadenza» «Bene, dieci giorni, dopo secoli di attesa non sono niente, abbiamo ancora tutto in mano noi, ora provvederò a sospendere tutto quello che era previsto per oggi, non c'è senso a scoprirsi in anticipo, potremmo destare sospetti, mi raccomando fate in modo che nessun emissario concluda la sua missione e saremo al sicuro, per gli «altri» documenti un piano è già in atto da tempo e sono sicuro che si concluderà felicemente» «Come volete Maestro ai vostri ordini e... non temete faremo un buon lavoro... per la gloria dell'ordine» fu la risposta e la comunicazione fu chiusa.

Nel frattempo il suo aiutante si era presentato puntualmente al lavoro, «Jan» lo apostrofò il sovrintendente, «fai queste telefonate e pronuncia una sola parola «Aspetta» fornendogli una lista di numeri telefonici, il giovanotto guardò il suo capo con aria un po' esterrefatta «Ma... solo questo: Aspetta?» domandò «Si, non ti preoccupare chi è all'altro capo capirà, ah, un'altra cosa io mi assento per tutto il giorno, devo sistemare e coordinare delle cose fuori di qui, avvisa tu gli altri che sarò di ritorno in serata, e soprattutto, quando arriverà Karl digli che mi aspetti, qualunque sia l'ora a cui torno» «Va bene direttore, ma non so se Karl si farà vedere oggi» «Ma come sarebbe a dire che non si farà vedere se...» l'uomo s'interruppe prima di dire troppo, non era il caso che Jan sapesse del suo colloquio avuto con il suo braccio destro durante la notte «Ma si certo, non ricorda? è scritto anche qui nella sua agenda, Karl deve presenziare la riunione all'ambasciata ove sarà investito della carica di vice ambasciatore, mi avete anche detto di inviargli un biglietto di congratulazioni» in realtà il biglietto di congratulazioni dettato direttamente da Auguste era un codice cifrato che impartiva degli ordini «Ah, già me ne ero proprio dimenticato, beh poco importa, i collaboratori di Karl dovrebbero portare qui un pacco» disse sorridendo all'idea di chiamare pacco due uomini imprigionati «Dì loro di aspettarmi, o di aspettare una mia telefonata» Ciò detto, s'infilò il soprabito e sollevando la mano destra per salutare, lasciò il suo segretario ad espletare i compiti assegnatigli.
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MessaggioInviato: 19 Feb 2006 18:47    Oggetto: Rispondi citando

La restante parte del viaggio verso Cluj non riservò sorprese. Perutz si fermò soltanto per fare benzina, e si accorse che costava meno che in Ungheria ed a casa sua. Ad ogni modo, il denaro non era una sua preoccupazione, in quei momenti: non sarebbe rimasto molto a lungo in Romania, ed aveva con sé contanti più che sufficienti. Ammirò i campi ben coltivati che si estendevano ai lati della statale e, ancor di più, apprezzò le condizioni del fondo stradale, asfaltato da poco. Iniziò a sperare che anche il tratto successivo fosse migliore di quel che ricordava dall'ultimo viaggio. Si sorprese ad osservare che la percezione di trovarsi su un altipiano fosse netta, pur non avendo punti di riferimento che potessero confermare quella sensazione: i campi si estendevano pianeggianti e leggermente ondulati, ed avrebbe potuto essere una normale pianura. Poi capì: la percezione veniva dalla linea dell'orizzonte, che sembrava più vicina, o almeno così gli parve.
Pensare ad altro lo aiutò a rilassarsi: ogni tanto controllava la situazione dietro di sé, ed approfittava di una stazione di servizio per fermarsi un paio di minuti ad osservare i mezzi che lo seguivano, ma fece tutto ciò con minore tensione, nella consapevolezza che fossero precauzioni quasi superflue.

?Cluj Napoca? indicava il cartello posto al lato della strada. Era quasi arrivato: mancavano soltanto pochi chilometri di campagna ed i quartieri periferici.
In passato, aveva scoperto che i residenti chiamavano la loro città con il semplice nome ?Cluj?, benché il nome completo fosse ?Cluj Napoca?. La seconda parte era stata aggiunta negli ultimi decenni: era l'antico nome romano della città, e si era voluto aggiungerlo per ricordarne l'origine. Perutz ricordava qualcosa dei suoi lontani studi: attorno al 100 d.C., l'imperatore Traiano sottomise i Daci e ne colonizzò i territori, trasferendovi soldati e coloni. Quella parte della Transilvania all'epoca era la Dacia, nome rimasto soprattutto nella produzione automobilistica.
Pochi minuti dopo, era entrato nella città e cercava di orientarsi per raggiungere il centro. Si accorse che il traffico era aumentato dall'ultima volta, e che erano aumentate anche le auto recenti e di produzione estera, indice delle migliorate condizioni economiche dei romeni. Riuscì con facilità ad arrivare nella piazza principale: per la verità, Cluj aveva due piazze centrali, vicine tra loro, e l'ispettore in passato si era chiesto quale delle due fosse considerata la principale. Lui era diretto in Piazza della Libertà, se ricordava correttamente il suo nome, dov'era la chiesa gotica di San Michele e dalla quale iniziava la via più bella della città vecchia. La chiesa era nel centro della piazza, e sui quattro lati attorno ad essa era stato ricavato un parcheggio a pagamento. Ionescu non poteva sapere dove avrebbe parcheggiato, quindi Perutz avrebbe dovuto cercare fino a trovare l'auto. L'altra piazza era altrettanto ampia, anch'essa circondata da edifici ottocenteschi, tra i quali il teatro nazionale, ed al centro aveva la chiesa cristiano-ortodossa.
Improvvisamente, si trovò nella piazza alla quale era diretto; si avvicinò alla parte centrale, tagliando il traffico e suscitando l'ira degli altri automobilisti, e percorse ad andatura ridotta l'anello centrale, come se stesse cercando un posto libero. A differenza del parcheggio di Budapest, lì erano tutte auto con targa romena. Scartò le auto di produzione straniera, e si concentrò su quelle poco recenti. Dopo aver controllato due lati del parcheggio, individuò la sua nuova macchina: un'altra Dacia, con un fazzoletto legato allo specchietto retrovisore sinistro. Era il modello più vecchio, la Dacia Berlina, rivisitazione di una Renault degli anni settanta, prodotta su licenza in Romania. Aveva avuto in precedenza modo di viaggiare su quel modello. Non particolarmente veloce, aveva sospensioni ed ammortizzatori irrobustiti per superare senza danni le difficoltà delle strade locali: scomoda ma robusta.
Accostò poco oltre, scese e si avvicinò all'auto parcheggiata. Come a Budapest, trovò le chiavi nel passaruota anteriore sinistro, tenute ferme con il nastro adesivo. Le prese, tolse il fazzoletto, salì in auto e la spostò. Al suo posto mise la Dacia del fratello di Ionescu e trasferì sul cruscotto di quest'ultima il tagliando del parcheggio che valeva per tutta la giornata. Aprì lo sportello del cassettino portaoggetti e recuperò la vecchia Nagant russa a rotazione che l'assistente di Ionescu vi aveva riposto con uno sguardo eloquente, poco prima di Oràdea. Nascose l'arma alla cintura, dietro la giacca; scese dall'auto, chiuse la portiera e nascose le chiavi nel solito posto. Prima di salire a bordo della Dacia Berlina, si guardò attorno: non sembrava che qualcuno si fosse accorto delle sue strane manovre, il traffico era veloce e nessun passante era nelle vicinanze. Si avviò, ed in pochi minuti uscì dalla città.
Aveva ragione il suo vecchio amico: la nuova macchina era in peggiori condizioni della precedente: molto rumorosa, interni rovinati, il vetro dal lato del guidatore non aveva intenzione di scendere. Il motore però era in buono stato, ed anche gli ammortizzatori facevano il loro lavoro onestamente. Inoltre, era la tipica auto che tutte le famiglie possedevano: sarebbe stato molto facile mimetizzarsi.

Iniziò la strada per Dej, tutta in pianura. Guidando, si ricordò che il suo ultimo pasto risaliva al giorno prima. Decise di non fermarsi: avrebbe cenato più avanti, ben oltre Dej. La città venne raggiunta e superata abbastanza velocemente, e lo stesso accadde per Bistriţa. Da lì in avanti, la strada avrebbe iniziato a salire a causa delle ultime propaggini dei Carpazi.
L'auto iniziò ad affrontare i primi tornanti, ed il panorama mutò velocemente: si trovò in un'ambientazione montana, di tipo alpino. Anche la temperatura esterna cambiò, e non senti più la necessità di aprire il finestrino bloccato. Immense foreste di conifere si estendevano ai lati della strada, e l'ispettore si sorprese ad ammirarne la maestosità. Non era la prima volta che percorreva quella strada, ma ogni volta riceveva una sensazione di pace e di tranquillità, a contatto con una natura poco contaminata. I paesini si erano rarefatti, le automobili erano molto scarse. Rivide i carretti, il mezzo di locomozione tipico dei contadini romeni, che nella ricca Transilvania ormai da anni erano stati sostituiti dalle auto. Erano non molto alti, composti da un telaio di legno dotato di quattro ruote d'automobile, sul quale veniva installato l'accessorio necessario per ogni singolo uso. Poteva perciò avere alte sponde quando era adibito a trasporto di foraggio, oppure panchette per trasformarsi in una specie di pulmino aperto, oppure appositi supporti per trasportare tronchi. Erano abitualmente trainati da un cavallo e, in casi particolari, da una coppia. Perutz ricordò che negli anni precedenti era normale trovare file di carretti procedere uno dietro l'altro sul ciglio della strada: occorreva essere pronti ad evitarli, specialmente su quelle strade tortuose e soprattutto di notte, poiché non erano dotati di illuminazione.
?Devo ricordarmene? disse tra sé, pensando che la Moldavia era una regione agricola e meno sviluppata della Transilvania: per entrambi i motivi, avrebbe incrociato sulla sua strada molti di quei mezzi.
Arrampicandosi, di tornante in tornante, vide sulla sua destra stagliarsi l'imponente figura di un castello. Ricordò immediatamente cos'era: una costruzione recente, realizzata in modo da sembrare un antico castello, che ospitava un hotel ad uso dei turisti stranieri, sia per l'elevato costo sia per la sua caratterizzazione particolare. Sulla parete anteriore risaltava uno stemma, composto da uno scudo e due ali di pipistrello e, subito sotto, il nome: ?Hotel Castel Dracula?.

Superato l'hotel, come ricordava, iniziò il tratto peggiore del viaggio: non era migliorato rispetto all'ultima volta in cui aveva percorso quella strada. L'asfalto mancava per lunghi tratti, creando crateri talvolta abbastanza profondi da mettere in pericolo le sospensioni di un'auto normale. La Dacia che stava guidando era nata per affrontare quelle strade, tuttavia Perutz decise di non fidarsi troppo, a causa degli scricchiolii che sentiva ad ogni buca e dell'età dell'auto. ?Se fosse una persona, probabilmente avrebbe l'età per votare? sorrise tra sé, cercandone l'aspetto umoristico. Alternando prima e seconda, superò con cautela i crateri più impegnativi, abbassando di molto la velocità media. Paradossalmente, in quella situazione i mezzi più veloci erano i grossi camion. Molto robusti, dotati di pneumatici molto più alti e di un'elevata coppia motrice, potevano permettersi di passare sulle buche senza rallentare.
Il traffico era molto scarso, non si vedevano neppure i carretti: era una zona poco abitata, tranne qualche casa isolata. Gli unici mezzi erano camion e furgoni che trasportavano merci per la zona dei monasteri.
Uno di quei grossi mezzi si avvicinò da dietro all'auto dell'ispettore. Non era la prima volta che ciò accadeva: Perutz si era abituato a lasciarli passare, agevolando la loro manovra e segnalando con l'indicatore di direzione destro che la strada era libera nell'altro senso di marcia.
Si accorse che quel camion era più veloce degli altri: osservandolo nello specchietto retrovisore, vide che era una motrice senza rimorchio, ed era un mezzo molto recente. L'ispettore rallentò e fece capire al camionista che avrebbe potuto superarlo.

Quello che accadde un paio di secondi dopo lo prese di sorpresa. La motrice non rallentò né si spostò verso il centro della carreggiata: puntò direttamente contro la piccola Dacia. Perutz se ne accorse all'ultimo momento, scalò di un rapporto e tentò un'improvvisa accelerata per distanziare il pericolo. Non fu sufficiente: gli alti paraurti della motrice colpirono violentemente il bagagliaio della Dacia, facendo fare all'auto un balzo in avanti. L'auto venne nuovamente raggiunta dal pesante mezzo e spinta verso la stretta curva a destra, distante poche decine di metri.
Perutz estrasse la Nagant dalla cintura e si voltò, ma il vetro del lunotto gli permetteva di vedere soltanto il radiatore della motrice che lo stava spingendo verso il dirupo.
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MessaggioInviato: 21 Feb 2006 14:32    Oggetto: ritorno al futuro... Rispondi citando

era come se, una volta chiusa la porta, il tempo lì dentro si fosse fermato
nell'ingresso, a sinistra, c'erano ancora le corna di cervo che il nonno usava per appenderci il giaccone e il cappello
poco più avanti, la scala verde con il passamano rosso, e alla sua destra la porta che apriva il misterioso mondo della cantina
ancor più a destra faceva la sua bella figura una stanza relax, così l'avrebbe chiamato oggigiorno un rampante arredatore..per lei era il salone, quello dove ci si riuniva la sera, finita la cena, per annusare il profumo della pipa del nonno mentre la nonna terminava di riordinare la cucina
il grosso divano di stoffa color mattone, con i suoi cuscini così gonfi che assomigliavano alle brioche che la nonna sfornava ogni mattina, caldi e morbidi, ma senza la marmellata dentro però..Marta l'aveva sempre pensato con un gran rammarico, e più di una volta aveva provato a scucire il bordo del cuscino e a sbirciarci dentro per assicurarsi che proprio non ci fosse traccia del nettare ai lamponi o alle more..uff
il caminetto dove il nonno faceva scoppiettar le castagne durante gli autunni belli freschi
c'era perfino lo stesso tappeto, enorme e colorato, che ricopriva quasi tutto il pavimento della stanza
nell'angolo di nordest, giusto alla destra del caminetto, la vecchia cassapanca della nonna, quella con dentro le tovaglie della festa e le lenzuola per gli ospiti, il tutto profumato con dei rametti di lavanda che coglieva proprio Marta da quel folto ciuffo poco distante da casa

era così emozionata dal ritorvarsi lì dentro, che controllò di non avere indosso ancora il pannolone, tanto per sincerarsi di essere veramente cresciuta e non più la bimbetta di 20 anni prima

Rudolph la accompagnò proprio verso il divano, fungendo da appoggio, e l'aiutò ad accomodarsi in modo da tenere la gamba danneggiata stesa e un po' sollevata, grazie ad un cuscino sistemato sotto al polpaccio
"ecco qua, sei co..co..comoda cooosì?" le domandò, apprensivo come una vecchia zia
"meglio di una regina" fu la risposta di Marta a cotanta gentilezza
nel mentre Roska si era piazzato proprio davanti al caminetto del salone e, dopo un paio di giri su se stesso, si accoccolò sul tappeto, prestando comunque attenzione a ciò che succedeva nella stanza
"ora tu..tu ssstai qui b..b..buono buono e ti..tieni compagnia aaalla nostra ooospite.. va bene?" gli disse Rudolph
in segno di assenso, l'animale emise uno sbuffo dal nasone scuro e umido, poggiando infine la testa sulle zampe davanti
sembrava un tappetino buttato sopra l'altro grande tappeto..un quadretto indimenticabile
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MessaggioInviato: 21 Feb 2006 20:20    Oggetto: Rispondi citando

Anche dopo che fu salito in macchina, Roberto continuò a ridacchiare, stupendo sempre di più i due poliziotti che stavano davanti, l'auto era divisa da una grata per la sicurezza di chi guidava e del suo compagno. Il comportamento folle dell'uomo seduto dietro, fece rilassare i due che lo catalogarono come un'innocua e normale amministrazione, ne avevano già visti tanti, la loro esperienza diceva che non avrebbero avuto nessun problema con il personaggio seduto dietro, lui sembrava vivere in un mondo tutto suo.

Roberto era stato «raccolto» quand'era ancora un ragazzino, da quello che poi sarebbe diventato il primo dei suoi istruttori; era un birichino, un delinquentello che si arrangiava per vivere, piccoli furti e anche meno piccoli con scasso, allevato da quella comunità invisibile della criminalità, che sono truffatori, scassinatori, ladri. Ognuno che si era sentito un po' lo zio di quel ciuffo di capelli ribelle, da quella faccia impertinente, da quello scugnizzo che s'ingegnava a far commissioni anche poco lecite, per raggranellare qualche soldo. Come tutti i buoni zii, ognuno di loro aveva insegnato qualcosa al piccolo, qualcosa che potesse dargli di più che non una vita fatta solo di spiccioli. Era iniziata così la carriera di Roberto, fino a quando, ingolosito da quello che pensava potesse essere un ricco bottino «prelevabile» con facilità da una ricca villa isolata in mezzo alla campagna, era capitato nelle mani di Egdar Stomp.

A notte fonda, si era intrufolato nella casa attraverso una finestra a cui aveva tagliato il vetro, facendo attenzione a non fare rumore e congratulandosi per le capacità che stava acquisendo. Una volta dentro si orientò verso il salotto. Giorni prima, quando il proprietario era uscito, aveva avuto la sfrontatezza di chiedere alla cameriera che gli aveva aperto la porta, se per caso avessero bisogno di un giardiniere, fermo nell'ingresso, facendo un po' la corte alla ragazza aveva potuto farsi un'idea della disposizione delle stanze. Ora benché fosse al buio, con l'esperienza che gli derivava dai colpi precedenti, riuscì ad individuare il punto in cui la cassaforte era stata murata. Trovatala, iniziò ad armeggiare per aprirla, le orecchie sempre ben tese a percepire anche il benché minimo rumore e a scappar via al primo sentore di pericolo. La casa sembrava immersa nel silenzio più assoluto, cosa che lo rassicurava, sarebbe stato ancora più facile percepire se qualcosa non andava. Con sua grande sorpresa la luce si accese e girandosi si trovò davanti la canna di una pistola, più di questo però fu lo stupore di non aver sentito niente, non era possibile che una persona come quella che gli stava davanti, potesse muoversi con la leggerezza di una piuma. Egdar Stomp, un bisonte di circa novanta chilogrammi, tarchiato, sembrava un monolite, anche senza pistola, avrebbe potuto tranquillamente aver ragione di Roberto che al contrario, era alto snello flessibile come un giunco e con la muscolatura lunga di quelli che sembrano gatti. L'empasse fu rotto dalla voce del bisonte, estremamente gentile e contrastante con l'immagine di forza bruta che emanava: «Pensi che questo sia il migliore modo per vivere, ragazzo?» La risposta di Roberto fu di tutt'altra natura, non riusciva a capacitarsi di essere stato sorpreso così: «Ma... ma come avete fatto a... a...» indicando la porta del salotto e sottintendo: «a non farvi sentire», l'altro rise di una risata che sembrava un muggito: «Grosso e pesante come sono? Ci sono ancora tante cose che ancora non sai e che ancora devi imparare» poi tornando serio: «Questa non serve più» buttando la pistola su una poltrona «E poi.... è scarica» tornando a ridere di gusto. Il fascino che provò Roberto per quello strano personaggio, la curiosità e la promessa di una vita migliore che aveva percepito nelle parole dell'uomo, fecero si che diventasse un allievo, da addestrare per una missione di cui non avrebbe mai conosciuto lo scopo ma solo i contenuti: sarebbe venuto il momento che una frase chiave gli sarebbe stata detta, da quel momento lui doveva agire secondo istruzioni che sembravano definite in un momento antecedente la sua nascita. La frase chiave: «Non nobis Domine, non nobis sed Tuo nomini da gloriam» e le istruzioni: «dovrai tenerti sempre aggiornato su come arrivare a Chisinau in Moldavia, ti verrà data una busta da un uomo che porta il tuo stesso fregio, dovrai consegnarla ad un altro uomo anche lui con lo stesso segno di riconoscimento, non conoscerai nessuno di loro, sappi che sono tuoi fratelli negli intenti, questo è quanto basta che tu sappia anche per la tua sicurezza, compi la missione come se ne andasse della tua stessa vita» gli furono fatte ripetere prima da Egdar e poi dagli altri istruttori che l'avevano seguito, chiedendoglielo a bruciapelo, a volte svegliandolo nel cuore della notte per farglielo ripetere, tutto ciò fece sì che Roberto arrivasse a pensare di averlo saputo da quando era nato.

I suoi trascorsi di scassinatore e il lungo addestramento, gli fecero in poco tempo avere ragione delle manette che gli stringevano i polsi, anche grazie ad una sottile striscia di metallo, alla portata della sua bocca, perché di poco sporgente da una fessura posta all'interno del bavero della giacca di cuoio. Il problema più grosso era uscire dalla macchina, gli sportelli posteriori erano bloccati dall'esterno ed era impossibile sfondare il vetro. Che fare? nel frattempo la macchina si era fermata ad un semaforo rosso. A quel punto la mente vulcanica del giovane concepì uno dei suoi soliti piani impossibili: prima che la macchina ripartisse, cacciò un urlo da far accapponare la pelle, i due davanti che non se l'aspettavano, fecero letteralmente un balzo sui sedili, Roberto iniziò ad agitarsi a sbattere i piedi contro la grata, facendosi venire la bava alla bocca, come se fosse in preda ad un attacco isterico urlando sempre a squarciagola, i due poliziotti preoccupatissimi, scesero dall'auto, lo aiutarono a uscire con grossa difficoltà, recalcitrante com'era, appena sentì l'asfalto sotto i piedi, Roberto subì una trasformazione, da burattino disarticolato divenne un'insieme di energia, velocità e agilità, con una mezza giravolta appoggiò ognuno dei palmi sul petto degli uomini, prendendoli alla sprovvista diede loro una grossa spinta, il risultato fu che i due finirono a gambe all'aria sul selciato, dandogli la possibilità di avviarsi, veloce come il vento, in direzione di un parco che stava al di là della strada. Rialzatisi i due uomini cercarono d'inseguirlo ma, il poco allenamento e quel po' di pinguedine che viene a chi sta troppe ore seduto in macchina, ebbero la meglio. Cercare di raggiungere il giovane era come voler catturare una gazzella che fugge, sconsolati ritornarono alla macchina, ansanti e frustrati dalla risata del ragazzo che si perdeva in lontananza.
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MessaggioInviato: 21 Feb 2006 23:21    Oggetto: case dell'altro mondo... Rispondi citando

mentre cercava di sistemarsi meglio il cuscino sotto la gamba, Marta udì dei rumori provenire da un'altra stanza della casa
il suono ovattato di un'anta che si chiudeva
lo scroscio dell'acqua del lavandino
il rumore di cubetti di ghiaccio che si riversavano in una padella di metallo
passi
poco dopo il viso di Ruben fece capolino dallo stipite d'ingresso della sala
Roska sollevò il muso e frustò l'aria con la coda, dopodichè ritornò a sbirciare da dietro il pelo che gli nascondeva gli occhi
"disturbo?" chiese Ruben
"ma figurati, neanche stessi tentando il record al cubo di Rubik" rispose sorridendo Marta
"ti ho portato il ghiaccio, così dovrebbe sgonfiarsi un po' quel salsicciotto" e così dicendo le porse il sacchetto con dentro i cubetti gelidi e tintinnanti
lei se lo appoggiò sulla caviglia e il contatto con il freddo intenso le provocò una smorfia simile ad un sorriso sforzato
"fastidio eh?!?" le chiese Ruben mentre carezzava il cane disteso sul tappeto
"un pochetto..però sicuramente mi farà bene..lo so" rispose lei, e dopo quelle parole uscite dalla sua bocca, fu un'altra la bocca che, inequivocabilmente parlò
assomigliò al ruggito di un leone avvertito a kilometri di distanza, invece era solo il suo stomaco che reclamva vendetta..tremenda vendetta
in effetti da quando era partita non aveva toccato cibo, solo che finchè c'era stata la tensione della fuga dal treno non si era nemmeno resa conto di quanta fame avesse
l'adrenalina le aveva fornito tutta l'energia necessaria, ma ora, tranquilla e sdraiata come una sirenetta su uno scoglio, pensò che avrebbe potuto mangiarsi i due fratelli e il cane insieme

dopo aver emesso quel verso, che avrebbe fatto invidia agli orchi più agguerriti, arrossì come una scolaretta e cercò di rimediare
"scusa..non mi era mai successo prima.."
"hai fame eh!?" le chiese Ruben sorridendo a più non posso "da quanto tenpo non mangi?"
"sono due giorni ormai, da quando sono partita, ma forse ho qualcosa nel mio zaino, se me lo porti ci guardo dentro.."
"ma non se ne parla nemmeno! sei nostra ospite..figurati" ribattè lui
"ma no ma no, vi ho già dato fin troppo disturbo e non vorrei esagerare con la..." e giù un altro ruggito da competizione "..vostra ospitalità" queste ultime parole scatenarono l'ilarità di entrambi fino al punto che la sacca del ghiaccio cadde sul tappeto, e Ruben rovinò sulla schiena del cane, facendogli frustare un'altra volta l'aria con la coda
"che succede qua?" chiese Rudolph mentre accorreva nella stanza "ho sentito un tonfo"
appena entrato però si tranquillizzò, vedendo il fratello e la loro giovane ospite che se la ridevano di gusto
lei che si reggeva a stento sul divano e lui che si rotolava sopra il loro cane come fosse un cuscino di pizzo
"nulla vecchio mio, nulla..la nostra amica ha un leggero languorino" gli disse Ruben mentre si rialzava e rimetteva il sacchetto ghiacciato sulla caviglia di Marta, la quale smise subito di ridere ed emise un soffio per il contatto improvviso
"vieni Rudy, lasciamola a godersi l'alaska portatile e andiamo a cucinare un piatto speciale per un'ospite speciale in un giorno speciale"
detto questo il Lungo e il Corto, come li aveva soprannominati mentalmente Marta, uscirono dalla sala diretti verso la cucina.."speciale"

in mezzo alla stanza c'era un tavolone rettangolare in legno, segnato dal tempo, ma ancora in ottime condizioni
era talmente grande che poteva ospitare tranquillamente otto persone lasciadole libere nei movimenti di un pranzo in allegria
tutti i mobili della cucina erano in legno, stesso colore e stessa resistenza del tavolo
al centro della parete che dava a nord faceva bella mostra di sè un enorme camino, con due nicchie laterali complete di posto a sedere
al centro di esso pendeva una catena con un gancio, comodo per appendere i grossi paioli e le pentole di rame che decoravano la cappa e buona parte della parete
alla sinistra del camino c'erano i lavandini, così capienti che avrebbero potuto contenere con comodo Rudolph
erano in marmo rosa con striature grigie e il rubinetto in ottone, orientabile per poterli servire entrambi
dopo i lavelli ecco una vecchia stufa in ghisa, con tanto di piano cottura a cinque piastre e un bel forno abbastanza capiente per poterci infilare un cappone intero
dalla stufa partiva un grosso tubo che spariva inghiottito dal soffitto; sicuramente attraversava le stanza ai piani superiori per portare calore nei periodi freddi
sulla destra del bocca del camino si allungava un piano da lavoro che avrebbe fatto invidia allo chef Tony in persona, attrezzato con una grossa asse da taglio in legno scuro, usurata dai lavaggi e dall'uso
appesi alla parete proprio sopra l'asse, una serie di lame, mestoli e attrezzi da cucina sfilavano come le chiavi inglesi nell'officina di un ordinato meccanico
appoggiato alla parete ovest della cucina c'era un mobile, anch'esso in legno, con due ante in legno nella parte bassa e una simpatica vetrinetta nella parte alta
tutto il mobile era lavorato, ripieno di ghirigori a forma di foglie, frutti e teste di animaletti propri dei boschi circostanti
le ante basse mostravano un fine lavoro di intaglio raffigurante due aquile maestose che si guardavano fiere
quelle alte invece, in vetro smerigliato, erano ricoperte di lingue di colori diversi, quasi fosse un arcobaleno esploso in mille spruzzi impazziti
le pareti della cucina erano di un intenso verde ortica che ben si accompagnava al colore del legno
l'unica nota che stonava in tutta la stanza era il frigorifero bianco proprio dietro la porta d'ingresso della cucina, lì nascosto quasi per non essere visto
senza quello sarebbe potuta essere benissimo una cucina di vent'anni prima

i due fratelli s'infilarono due grembiuli immacolati e, senza parlarsi, iniziarono a lavorare per mettere in tavola un pranzo speciale per una persona speciale

in sala, comoda come non mai sul divano, Marta reggeva con una mano il sacchetto con il ghiaccio e con l'altra riempiva di coccole gentili il suo nuovo amico peloso
oltremodo impegnata in queste operazioni sentì chiaramente i due fratelli che spadellavano canticchiando "in un tiepido mattin, se ne vanno i porcellin, dimenando al sole il loro codin, spensierati e birichin..."
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MessaggioInviato: 22 Feb 2006 00:00    Oggetto: Rispondi citando

Perutz comprese che con l'arma non poteva ottenere alcun effetto, se non quello, inutile, di danneggiare il radiatore. Gettò la Nagant sul sedile del passeggero e si voltò: attraverso il parabrezza vide il ciglio della strada avvicinarsi inesorabilmente. Era inutile frenare: la coppia del mezzo che lo stava spingendo era tale che avrebbe trascinato la Dacia nel precipizio anche se fosse stata senza ruote. Tentò una manovra che, pur essendo rischiosa e non garantendo alcun risultato certo, era l'unica cosa che gli rimaneva da fare e forse l'unica non prevista dal suo assalitore. Spinse il pedale dell'acceleratore fino a fondo corsa: il rapporto inserito era basso, ed il motore imballato diede tutta la potenza che era in grado di offrire. L'auto riuscì a staccarsi di un paio di metri dal paraurti della motrice. L'ispettore comprese che non sarebbe stato sufficiente per sganciarsi: in un attimo il camion lo avrebbe raggiunto. Sterzò con decisione verso sinistra e tirò la leva del freno a mano, tentando di innescare un testa-coda che gli permettesse di affiancarsi al mezzo dell'aggressore, ma rivolto nella direzione opposta. Se avesse funzionato, il pesante mezzo avrebbe proseguito per inerzia la sua corsa per alcuni metri, e Perutz avrebbe potuto tornare verso Bistriţa, con l'auto danneggiata ma, per il momento, ancora funzionante. Il camion, a causa delle sue dimensioni, non avrebbe potuto effettuare un'inversione di marcia in quel tratto di strada: avrebbe dovuto procedere fino a raggiungere uno slargo, e ciò avrebbe permesso a Perutz di ottenere un discreto vantaggio. Nel frattempo, avrebbe pensato a cosa fare.
La manovra riuscì: le ruote posteriori si bloccarono, l'auto sbandò oscillando in modo poco rassicurante e si innescò un testa-coda. Come Perutz aveva previsto, i due mezzi si trovarono affiancati e rivolti l'uno nella direzione opposta all'altro. La massa del pesante automezzo arrestò il testa-coda della Dacia e Perutz ebbe il tempo, una frazione di secondo, di vedere l'uomo alla guida. Era un individuo sui quarant'anni, quasi calvo, con il viso massiccio e sopracciglia molto folte: sembrava di origine slava.

L'uomo era rimasto sconcertato dall'imprevista manovra della sua preda. Immaginava che l'auto avrebbe continuato passivamente la sua marcia verso il precipizio, e che il suo conducente avrebbe fatto ciò a cui istintivamente chiunque avrebbe pensato: frenare, manovra assolutamente inutile. Non era alla sua prima missione di quel tipo, ed aveva una particolare predilezione per gli ?incidenti?automobilistici: erano relativamente facili da eseguire, la vittima di solito cadeva in una condizione di panico che la portava a non reagire o, tuttalpiù, a tentare un'inutile frenata che lasciava sull'asfalto buona parte dei pneumatici, e le successive indagini della polizia arrivavano alla più ovvia delle conclusioni, incidente causato da eccessiva velocità. L'unica condizione necessaria era che l'incidente avvenisse senza testimoni, di notte o in una località poco abitata come quella in cui si trovavano. L'uomo calvo non apparteneva all'Ordine: era semplicemente un esecutore a contratto, con una lunga esperienza di ?collaborazione? con una famosa holding tedesca, attiva nella produzione e distribuzione di beni di consumo in buona parte dell'Europa. Una decina di anni prima, era stato avvicinato da un elegante uomo d'affari, che gli aveva proposto quella singolare collaborazione. Saltuariamente, in media una volta ogni tre mesi, veniva contattato telefonicamente da quella persona ed avvertito che avrebbe trovato una busta in un posto predefinito. La busta conteneva sempre una fotografia, una scheda dell'obiettivo, l'elenco dei suoi impegni nei giorni seguenti e, se occorreva, istruzioni speciali quali l'esigenza che l'accaduto apparisse un incidente oppure, al contrario, che si mostrasse per quello che effettivamente era. Inoltre, un anticipo del 30%, più che sufficiente per coprire le spese organizzative. Il saldo era sempre avvenuto nei giorni successivi, tramite un trasferimento di fondi molto complesso e difficilmente rintracciabile.
A parte la prima volta, i contatti erano sempre avvenuti per telefono. L'uomo aveva tentato di scoprire qualcosa di più, seguendo la traccia dei pagamenti bancari, ma si era perso in un ginepraio di operazioni concatenate, ed aveva deciso di soprassedere: non voleva rischiare che qualcuno dell'organizzazione cui certamente l'uomo d'affari apparteneva si accorgesse delle sue indagini, e divenire lui stesso il bersaglio di qualche altro collega meno curioso. In effetti, non era soltanto curiosità: conoscere l'identità dei suoi mandanti poteva essere un'importante carta da giocare qualora le cose si fossero messe male.
Dopo circa otto anni di proficua collaborazione, il caso gli fornì la risposta alle sue domande: cercando le notizie sportive sul quotidiano che abitualmente leggeva, aprì per errore la sezione ?Economia e Affari? e rimase stupito nel riconoscere in una fotografia l'uomo con cui aveva dialogato per pochi minuti alcuni anni prima. In quegli anni aveva fatto carriera, e da oscuro manager di livello intermedio era diventato direttore generale di una grossa holding: la fotografia lo immortalava mentre ritirava un premio, in rappresentanza della società, per l'opera di filantropia svolta a favore di alcuni progetti umanitari. L'uomo conservò con cura il giornale, ed approfondì la conoscenza della holding e del suo direttore generale, ma senza eccedere per non rischiare di deteriorare una situazione che aveva fino ad allora portato vantaggi ad entrambi. Ad ogni modo, si era cautelato componendo una sorta di dossier con le informazioni ottenute e con un sintetico elenco delle operazioni svolte per conto della holding, e l'aveva affidato ad un notaio di una città lontana, nella quale non risultava si fosse mai recato.

Quella frazione di secondo bastò a Perutz per prendere un'altra decisione: afferrò la Nagant con la mano destra e, mentre con la sinistra tentava di controllare l'auto, puntò l'arma quasi senza mirare e fece fuoco due volte, in rapida successione. In gioventù aveva ricevuto un ottimo addestramento militare, oltre a quello riguardante le tecniche di polizia, sotto la supervisione di istruttori sovietici; aveva anche trascorso alcuni periodi di specializzazione presso basi addestrative situate nell'Unione Sovietica, e poteva dirsi ben allenato all'uso delle armi. Nella pratica, ne aveva fatto un uso limitato alle situazioni in cui era veramente indispensabile: preferiva risolvere i problemi con il cervello piuttosto che con la forza. L'addestramento che aveva ricevuto, pur se un po' arrugginito dal lavoro sedentario svolto negli ultimi anni, gli venne in aiuto e, unito all'istinto di sopravvivenza, gli permise di prendere il revolver e di armare il percussore prima ancora di aver indirizzato il braccio verso il finestrino sinistro. Fece fuoco una frazione di secondo prima che la sagoma dell'aggressore scomparisse dalla sua visuale. Non fece in tempo a vedere se aveva colpito il suo bersaglio, ma sapeva di averlo fatto, al di là di ogni dubbio. Infilò la Nagant nella tasca della giacca e tornò a concentrarsi sulla guida: aveva davanti a sé un spiraglio libero, poco più della larghezza della Dacia, tra la coda della motrice ed il ciglio della strada. Premette sull'acceleratore, chiedendo ancora uno sforzo al vecchio motore: i giri salirono e l'auto si avvicinò alla salvezza.

Con un senso opprimente di ineluttabilità, Perutz si accorse che il varco si stava chiudendo. Il pesante mezzo stava sbandando, e con la coda stava progressivamente restringendo lo spazio libero: un attimo dopo, aveva occupato l'intera carreggiata e, nella frazione di tempo successiva, aveva urtato il frontale dell'auto e la stava trascinando con sé, nella direzione opposta. Entrambi i mezzi erano ormai incontrollabili, spinti dalla forza d'inerzia verso il precipizio al di là della curva.
L'ispettore non sapeva quale dislivello lo attendesse oltre il margine della strada, ma le curve che aveva affrontato fino ad allora non lasciavano presagire nulla di buono.
La strada era impervia, la montagna scoscesa: certamente non sarebbe atterrato su un prato, se non qualche decina di metri più in basso.
Perutz passò fulmineamente sul sedile del passeggero, ringraziando che la Dacia Berlina fosse un modello così antiquato da non avere la consolle centrale a dividere i posti anteriori. Aprì la portiera, ma dovette attendere qualche frazione di secondo prima di lanciarsi fuori: se l'avesse fatto in quell'istante, sarebbe atterrato sulla strada e sarebbe stato travolto dalla sua auto e dalla motrice. Attese l'istante in cui la fiancata destra della Dacia si trovò allineata all'orlo del precipizio, e si buttò.
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MessaggioInviato: 25 Feb 2006 03:35    Oggetto: Rispondi

La mancanza di luce esterna, bloccata dagli scuri di legno pieno chiusi davanti ai vetri, non dava la sensazione del trascorrere del tempo. Giacomo oramai aveva smesso di guardare l'orologio, la sua carica nervosa si stava acquietando, un po' per il cibo ingerito un po' per la calma serafica di Giorgio, seduto sul divano con una calma che sembrava rassegnazione, ogni tanto si guardava in giro, guardava l'amico e un paio di volte gli aveva persino strizzato l'occhio. Giacomo ammirava il comportamento del gigante, lo imputava a un lungo, intenso e ferreo addestramento, contrariamente al suo basato solo sull'azione, sul movimento, sulla fulmineità delle reazioni.
Non si erano scambiati molte parole, da quando Giorgio gli aveva fatto capire con un'occhiata, che erano ascoltati da microfoni e controllati da telecamere, Giacomo aveva tenuto a freno la lingua, evitando di fare domande che avrebbero soddisfatto la sua curiosità, ma avrebbero anche rivelato a chi li stava controllando, i motivi del tumulto di eventi accaduti negli ultimi due giorni e che continuavano a dargli la sensazione di preordinamento, di un suo destino già segnato, sentiva di essere una tessera necessaria al completamento di un mosaico di cui però non riusciva a vedere il disegno.

In questa situazione di stasi, la chiave girata nella serratura e lo spalancarsi della porta, lo fecero sobbalzare, la scena si ripeté come qualche ora prima, solo che questa volta entrarono solo i due uomini armati di pistola con il silenziatore, quello che aveva parlato la prima volta ordinò: «Alzatevi cani, il maestro ci ha detto di portarvi al suo cospetto, avete ancora qualche ora di vita, dobbiamo portarvi da lui fuori città» mentre parlava la pistola si agitava con un movimento laterale come invito a sbrigarsi. Giacomo sarcastico rispose: «Ah, che bello facciamo anche un giro turistico» mentre Giorgio si alzava superando di almeno due buone spanne in altezza i due sgherri, emanava una tale sensazione di forza, non dovuta solo alle sue dimensioni, che istintivamente i due si ritrassero di qualche passo. «Hai ancora dello spirito, bene, vuol dire che sarai più duro a morire,
sarà più divertente vedere la tua disperazione non perché stai perdendo la vita, ma perché non potrai più accedere alla verità che ti sarà rivelata, che ti avrebbe salvato se tu non fossi così barbaro» «Lo sai dove puoi mettertela la tua verità?» fu la risposta aggressiva del ragazzo, di nuovo si sentiva pronto a esplodere liberando tutta l'energia che aveva accumulato durante la giornata. «Muovetevi, andiamo» ordinò di nuovo l'altro con un ghigno che non prometteva niente di buono.

Ripercorsero la stessa strada fatta al mattino, ora l'edificio completamente in silenzio, sembrava ancora più surreale, i folti tappeti non permettevano ai loro passi di produrre alcun rumore, sembravano ombre che si muovevano nella semioscurità. Usciti dalla porta che dava sul vicolo, uno disse all'altro: «Vai a prendere la macchina e fermati all'imbocco, quando arrivi, scendi e tienici sotto mira con la pistola mentre ci avviciniamo» senza dire una parola l'altro si avviò. I due furono fatti scendere nel vicolo e sempre tenuti sotto mira, fermare un poco più avanti della fine della scaletta dove invece si piazzò il loro guardiano.

La luce dei lampioni che dalla strada rischiaravano l'imboccatura del vicolo fu oscurata da una figura, un mendicante molto alto, magrissimo, con un pastrano che gli arrivava alle caviglie, era entrato nel vicolo, l'andatura traballante e un rumore ritmico indicava che trascinava la gamba sinistra evidentemente artificiale, camminava un po' piegato di lato, il braccio sinistro rigido, tenuto contro il fianco, dava la stessa impressione di essere artificiale come la gamba, i capelli lunghi, spioventi sulle spalle, erano tenuti fermi dal laccio di cuoio nero che reggeva una pezza dello stesso materiale e che copriva l'occhio sinistro dell'uomo. «Signori, vi prego, sono due giorni che non mangio, avete qualche spicciolo per me? sono povero relitto che la sfortuna ha privato di metà del suo corpo, sopravvivo grazie alla bontà della gente, siate buoni signori» la voce roca e profonda sembrava faticasse ad uscire dalla gola. L'uomo con la pistola si portò a fianco dei due prigionieri e sempre tenendoli sotto tiro, con un gesto li fece appoggiare al muretto costituito dalla scala, in questo modo poteva sempre controllare la situazione e contemporaneamente liberarsi del mendicante che ora si era avvicinato. «La prego, signore, qualche spicciolo per un povero rel...» la litania fu interrotta bruscamente da un latrato dell'uomo: «Vattene cencioso e lercio barbaro, non hai nemmeno un po' di dignità» intanto l'altro si era avvicinato ancora un po' per rinforzare la sua supplica, l'occhio sano implorava, la bocca si riaprì per ripetere la richiesta, il braccio sinistro dal fianco si era alzato all'altezza delle spalle, rigido e tenuto in avanti come a dimostrare la sua origine artificiale e perorare il motivo della richiesta, il mendicante non dava segno di aver visto l'arma nelle mani dell'uomo che lo stava scacciando. Ancora una volta questi parlò per inveire: «Ti ho detto di andartene, miserabile avanzo dell'uman....» le sue parole furono interrotte da un sibilo, una lama di trenta centimetri, scattata come un serpente dal polso del braccio artificiale, aveva trapassato la gola dell'uomo uscendo dalla nuca indice della potenza della molla che la spingeva, con un brusco movimento laterale del braccio, il mendicante fece uscire la lama dal fianco del collo indicandone anche la pericolosa affilatura. Mezzo decapitato l'uomo crollò a terra spruzzando sangue, sul suo carnefice e sui due prigionieri che avevano assistito allibiti alla scena durata pochi secondi. L'imprecazione con cui l'uomo inveì per gli spruzzi che l'avevano colpito, fece impallidire Giorgio, la sua bocca si aprì in una smorfia fra lo stupore e l'incredulità sottolineate dalle frase che ne uscì «Ma... non è possibile...»
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